Cento e più giorni di guerra in Ucraina. Le sanzioni stanno minando a fondo i rifornimenti della Russia, soprattutto quelli dell’alta tecnologia, mentre sono ancora troppe le aziende occidentali che, in modo più o meno nascosto, continuano a fare affari con Mosca.
È difficile farsi un’idea precisa di quali siano gli effetti che gli ormai sei pacchetti di sanzioni stanno imponendo all’economia e alla società russa. Le informazioni che arrivano dalla Russia (ma questo vale in parte anche per quelle di origine ucraina) si prestano a difficili analisi interpretative, proprio per i voluti processi disinformativi che le caratterizzano. È un lavoro difficile quello della lettura obiettiva delle fonti russe, che sconfina spesso nell’interpretazione soggettiva, più che nell’analisi scientifica del problema. Eppure, una loro lettura sulle problematiche dell’impatto delle sanzioni occidentali è pur sempre un’operazione importante, soprattutto quando emergono elementi che lasciano trasparire una gravità non espressa a parole, ma immanente, suggerita, nascosta fra le righe.
La stampa russa e le difficoltà economiche
Ecco un paio di esempi, replicabili ed emblematici, di notizie pubblicate sulla carta stampata moscovita. Il primo è il caso di un recente articolo a firma di Valerij Voronov, pubblicato il 31 maggio scorso su Izvestija. L’articolo sottolinea la mancanza di parti di ricambio nell’ambito delle aziende di produzione energetica russa: “Le compagnie energetiche russe hanno dovuto far fronte a una carenza di pezzi di ricambio, che ha impedito loro di effettuare le riparazioni pianificate. – scrive il giornalista di Izvestija – A maggio sono stati identificati almeno 20 di questi casi. Lo afferma il verbale dell'incontro con il viceministro dell'Energia Yevgenj Grabčak del 16 maggio. Izvestija è entrata in possesso di copia del documento.”
È indubbio che i numeri non siano confermabili, che la fonte citata non sia disponibile e che la censura russa (o l’autocensura del giornale) abbia emendato le cifre reali rendendole più appetibili ai lettori (e a chi controlla le comunicazioni al Cremlino). Sta di fatto che la notizia fa capire quanto possano preoccupare i rallentamenti nella filiera di fornitura di parti tecnologiche, soprattutto di provenienza occidentale. Il giornalista continua infatti dicendo: “Secondo una fonte del settore (Dmitry Baranov, esperto della Finam Management MC), lo stock di pezzi di ricambio, strumenti e accessori in uso agli ingegneri elettrici è limitato a qualche mese per le apparecchiature importate e le catene di approvvigionamento in Russia – rispetto alle nuove condizioni in cui si trova il Paese – non sono ancora state stabilite.”
Un altro giornale affronta il medesimo soggetto, ma da un punto di vista diverso, anche se identiche sono le preoccupazioni. Si tratta dell’articolo pubblicato, sempre il 31 maggio, sul Moskovskij Komsomolets a firma di Michail Rostovskij e dal titolo “Le guerre economiche di Putin”. Un articolo che cerca di presentare la situazione in tono leggero (è interessante l’ipotesi di un ritorno all’autarchia economica stalinista, che troverebbe un esempio contemporaneo nel concetto nordcoreano di Juche, da cui l’autore prende naturalmente le debite distanze), ma che si pone una domanda assolutamente critica: “dove e come farà la Russia a procurarsi le tecnologie avanzate di cui ha bisogno, per non trasformarsi in un parco di attrezzature retrò delle dimensioni di un paese intero in pochi anni?”. All’epoca della Grande Depressione, come fatto notare dal giornalista russo, l’acquisto di impianti “chiavi in mano” dagli Stati Uniti permise all’Unione Sovietica di partire per lo slancio industrializzatore che tutti ben conosciamo. Ma adesso? Con quali esche il governo russo, affossato dalle sanzioni, sull’orlo di una recessione profonda, una guerra ancora in corso e una perdita sensibile della credibilità da parte del mondo intero, potrà attrarre specialisti stranieri e investitori per far ripartire un’economia che si avvia a tornare al 1992, al momento del crollo dell’Unione Sovietica? E poi, si chiede il giornalista: “Le autorità assicurano che le nuove catene logistiche miglioreranno presto. Ma abbiamo una garanzia esatta che ciò accadrà?”
Russia: catene logistiche e strette commerciali
Quello che è sicuro in Russia è che non ci sono certezze su cui fare affidamento. Intanto la stretta sulle forniture si fa sentire. Come riportato qualche giorno fa in un articolo del New York Times, i servizi di sicurezza ucraini hanno commissionato un’analisi da parte di un organismo terzo sulle capacità di ripristino di sistemi d’arma (principalmente i sistemi di controllo elettronico) da parte delle forze armate della Federazione russa impegnate nell’operazione militare speciale in Ucraina. Si tratta dell’istituto d’analisi Conflict Armament Research. Ne è risultato che le strette imposte dalle sanzioni stanno attanagliando i servizi dedicati al ripristino delle parti danneggiate o obsolete, proprio perché per anni tecnologie e brevetti occidentali (principalmente americani) sono stati centrali nello sviluppo delle soluzioni tecnologiche dell’industria militare russa, in particolare per quelle relative alla componentistica elettronica dei sistemi di guida delle armi intelligenti. Così come dichiarato dal ministro del commercio americano, Gina Raimondo, qualche giorno fa, “Le esportazioni americane in Russia nelle categorie in cui abbiamo controlli sulle esportazioni, compresi i semiconduttori, sono diminuite di oltre il 90% dal 24 febbraio. Una situazione assolutamente paralizzante”, dichiara il ministro.
È vero, una situazione paralizzante, che si sta ripercuotendo sulle generali importazioni di tecnologia. Per fare qualche esempio, in Russia non è più possibile al momento eseguire manutenzione ai macchinari prodotti da John Deere e da Caterpillar, mentre il 70% degli aerei operanti sul territorio russo è stato fermato a terra a causa di carenza di parti di ricambio. Un riflesso diretto, questo, della contrazione delle importazioni di tecnologia da parte dei nove principali stati produttori occidentali, che hanno segnato un calo del 51% in aprile rispetto al periodo settembre 2021-febbraio 2022.
India e Cina: partner difficili da gestire
E poi c'è anche l'altro lato della medaglia. La Russia è anche la maggiore esportatrice di tecnologie militari in Paesi come l’India, soprattutto per sistemi che ruotano intorno a tecnologie occidentali. Da tre mesi le consegne hanno sicuramente subito un rallentamento, se non addirittura uno stop. Una situazione difficile per l'industria russa, che ha immediatamente attivato l'avvicinamento occidentale al governo di Narendra Modi, tiepido, come ben sappiamo, nel prendere delle posizioni chiare sulla questione ucraina. Questo spiega, almeno in parte, il viaggio del premier inglese Boris Johnson in India il 21-22 aprile.
E poi c’è il problema cinese: nonostante gli intenti programmatici espressi da Russia e Cina prima e durante l’invasione dell’Ucraina, l’idillio Mosca-Pechino sta iniziando a mostrare le prime crepe. La consegna di materiali tecnologici è sicuramente una delle principali cause delle microtensioni che si stanno presentando, vuoi perché gli effetti della guerra economica sino-americana di Donald Trump non si sono ancora risolti, vuoi perché lo spettro di sanzioni americane nei confronti delle aziende tecnologiche cinesi rappresenta una preoccupazione non secondaria per il governo di Xi Jinping.
E allora, in Russia, si pensa a trovare delle soluzioni. Soluzioni che cercano di giocare su paesi o aziende accondiscendenti, attraverso cui acquistare (o vendere) in modo indiretto tecnologie preziose al momento sotto embargo. Un gioco che certamente offre dei risultati immediati, ma che non può certo essere risolutivo sul medio-lungo periodo.
Reazioni occidentali e trucchi per aggirare le sanzioni
Un gioco, quello di beffare le sanzioni, che non riguarda solo la Russia e la Bielorussia, ma che coinvolge sicuramente parte delle aziende occidentali.
Tanto per fare un esempio, gli investigatori di Conflict Armament Research – sempre a seguito dell’investigazione commissionata dai servizi d’informazione ucraini – hanno analizzato una serie di radio R187P1 Azart-L1 in dotazione alle forze della Federazione russa catturate in Ucraina, dimostrando che una parte dei chip utilizzati sono di chiara provenienza occidentale. Componenti debitamente contraffatti, non si sa se dalle aziende produttrici o da chi ha assemblato i dispositivi direttamente in Russia, ma con un chiaro tentativo di mascherare la loro origine.
E dire che la maggior parte dei principali produttori di microchip sembra abbiano completamente interrotto l'attività nel paese di Putin. L’approvvigionamento di componenti di fascia bassa utilizzati nella produzione di automobili, elettrodomestici e attrezzature militari (sebbene qualcosa arrivi sicuramente di straforo attraverso il confine russo-cinese) è sempre più difficile. Lo dimostrano le le notizie di un paio di settimane fa sull'uso di microchip estratti da elettrodomestici e usati dai russi come parti di ricambio per mezzi militari. E non dobbiamo poi dimenticare i semiconduttori più avanzati, quelli cioè impiegati nell'elettronica di consumo e nell'hardware IT, che sono sono stati gravemente ridotti inducendo i russi a trovare vie alternative, dentro e fuori la Russia.
Fuori dalla Russia, già... Non si creda che tutte le aziende abbiano seguito le direttive imposte dalle autorità occidentali. Secondo il gruppo di analisi della Yale School of Management, che si occupa di monitorare le aziende straniere coinvolte nell’abbandono o meno del territorio russo dopo il 24 febbraio, risulta che numerose realtà facciano ancora affari in Russia in barba alle sanzioni.
Gli analisti le hanno raggruppate in cinque categorie, che vanno dal grado F (peggiore) al grado A (migliore), seguendo l’abitudine delle notazioni scolastiche anglosassoni. Tanto per rimanere al settore dell’elettronica – che fa parte della categoria Information Technology – sono ben 13 le aziende del settore elettronico ancora attive in Russia che si sono meritate un F come valutazione, a dimostrazione che il business e i fatturati aziendali sono prioritari rispetto alle direttive internazionali.
Per la Russia un destino non chiaro e non certo brillante
La portata senza precedenti delle sanzioni occidentali come risposta alla guerra del presidente Vladimir Putin in Ucraina sta dunque costringendo la Russia a considerare una dolorosa trasformazione strutturale della sua economia. E di questo i russi ne sono consapevoli.
Con il paese incapace di esportare gran parte delle sue materie prime, importare beni critici o accedere ai mercati finanziari globali, è stato previsto che la contrazione del sistema economico russo per l’anno 2022 sarà compresa fra il -14 e il -18% e che tale tendenza si manterrà inalterata anche nel 2023 e nel 2024. Non si tratta di dati di origine occidentale, ma delle dichiarazioni di un economista russo, Vladislav Inozemtsev, direttore del Centro Studi post-industriali di Mosca, che si è così espresso in occasione di una tavola rotonda organizzata dal Zentrum Liberale Moderne di Berlino il 16 maggio scorso.
Sono dati certamente non incoraggianti, che sottolineano quali saranno gli ostacoli di una ripresa che certamente non è all’orizzonte. “Non vedo alcun fattore che possa risollevare l’economia, non ci sono stimoli alla crescita. – ha dichiarato Inozemtsev – In questi anni la crescita è stata trainata dai consumi e l’economia non ha mai conosciuto un processo di industrializzazione come in Cina. E poi la Russia non ha mai creato prodotti hi-tech”.
Per questo, diciamo noi, i Russi si sono legati all’Occidente, alla sua tecnologia e alla sua economia in moto tanto stretto da essere invischiati in un pantano da cui è praticamente impossibile uscire. E di questo dovranno ringraziare solo loro stessi e chi li governa.