Pillole di Economia e di Felicità per salvare il pianeta: dalla Preistoria alle Transizioni

Cosa occorre alla vita degli uomini sul pianeta? Per rispondere a questo quesito - ieri, oggi e forse domani -, in un individuo va considerato l’aspetto spirituale, che ha bisogno, innanzitutto, di una base “concreta” per manifestarsi, dal momento che gli uomini hanno necessità primarie e non-primarie.

Per necessità primarie intendiamo quanto serve loro ad avere buona salute e a continuare la specie, come il cibo, l’acqua, una casa e dei vestiti.

Per necessità non-primarie, invece, tutto quanto va oltre l’aspetto fisiologico: ad esempio, coltivare gli affetti, sviluppare il pensiero, apprendere e ricordare nuove nozioni, esplorare ciò che non si conosce.

All’uomo occorre soddisfare entrambe le necessità, sviluppare il suo “vivere”, fino a scoprire la coscienza di se stesso e la nozione del bene e del male: solo così egli diviene un uomo completo, il cui scopo nella vita è raggiungere la felicità.

Dalle prime tribù alla nascita del capitale

Per soddisfare le necessità primarie, all’uomo serve utilizzare le risorse.

Una volta si considerava l’ambiente (piante, animali, insetti, minerali, aria, acqua, etc) come un insieme equilibrato composto di “risorse”, cioè quell’ecosistema che, oggi, comprende anche l’uomo stesso: Ambiente = Risorse + Uomo.

Inizialmente l’uomo, basandosi sull’esperienza, ha capito che, per soddisfare le necessità primarie, era “conveniente” vivere in aggregati di persone - famiglie e tribù - in cui i singoli sviluppavano progressivamente delle attività “specializzate”.

Tra famiglie e tribù si combattevano guerre, rivolte a “meglio” soddisfare le proprie necessità primarie: spesso, però, la nozione di “meglio” travalicava quanto serviva a “semplicemente soddisfare” le necessità primarie della famiglia/tribù e si formava un “di-più” (di cibo, acqua, etc), che le famiglie accumulavano in maniera diversa, alcune più di altre.

Con il linguaggio moderno, potremmo dire che le tribù e le famiglie arrivavano a “possedere” un “capitale”: un accumulo di “risorse” oppure la “possibilità” di accedere alle stesse “in modo esclusivo” (e, forse, non rispettando l’“equilibrio”).

Il profitto diventa l’obiettivo principale

Nel frattempo la scoperta dell'agricoltura, dell’allevamento e della tecnologia (con la produzione di “aiuti”, cioè utensili o armi), insieme alle sempre più frequenti guerre, aumentava non solo la possibilità di soddisfare le necessità primarie, ma soprattutto il “di più”, che significava accumulare “capitale”.

Possedere molto “di più”, ovvero molto capitale, era utile perché permetteva di mettere in campo ancora più “mezzi” per vincere. I mezzi potevano essere uomini (guerrieri, coltivatori, artigiani, etc), animali oppure tecnologie (metodi “inventati” per migliorare l’accesso alle necessità primarie): in ogni caso le azioni erano rivolte ad aumentare il capitale posseduto, cioè a conseguire un profitto.

Oggi diremmo, appunto, che l’aumento di capitale è il profitto. Quest'ultimo divenne l’obiettivo principale degli uomini, sostituendosi all'aspirazione a soddisfare le necessità primarie, per la qual cosa dapprima si adoperò il “baratto” (cioè lo scambio di risorse: uno schiavo era una “risorsa”e faceva aumentare il profitto), poi il “denaro” nelle sue diverse forme (monete, certificati di possesso, lettere di credito).

Due diversi modi di sviluppo

Vi fu, via via, un “travaso” da parte degli uomini dei concetti di capitale e di profitto nell’ambito delle necessità non-primarie e, comprensibilmente, si giunse a misurare in termini di denaro anche gli affetti, gli sviluppi del pensiero, il valore dell’esperienza, la voglia di conoscere, etc.

Tutto questo è avvenuto nel “mondo civilizzato”, un po’ in tutto il pianeta, salvo qualche eccezione. Le varie religioni, nei fatti, non si sono opposte a questi sviluppi, tranne in un caso: la Riforma protestante.

A valle della Riforma, semplificando molto, si può disegnare un mondo cristiano protestante, in cui la coscienza di se stesso e la nozione del bene e del male discendono dal concetto di profitto e di incremento del capitale. L’uomo che fa profitto, a tutti i livelli, va oltre il bene e oltre il male, è benedetto da Dio e diviene un uomo completo.

Va ricordato che queste idee-base, nate in Europa Centrale, sono state “esportate” anche altrove, ad esempio in Nord America.

Secondo una visione “moderna”, vi sono due modi di guardare al “mondo economico”. Infatti si usa dire che si individuano due “modelli di sviluppo”.

Da un lato quello dell'utilizzo delle risorse in un quadro economico “occidentale”, basato sul capitale, sul lavoro e sul “profitto”. In questo quadro le risorse, il capitale, il lavoro e il “profitto” vengono misurati per mezzo del denaro.

Dall’altro lato vi sono poi alcuni “modelli di sviluppo”, non ancora pienamente definiti, salvo nell’opporsi ad alcuni aspetti negativi del “modello occidentale”. A chi coltiva tali nuovi studi, ad esempio, è chiaro che tramite il denaro non è possibile misurare tutto quanto serve all’essere umano per diventare uomo, cioè non è possibile misurare le necessità non primarie: la cultura, gli affetti, l’istruzione e tutto quanto serve per aspirare alla felicità.

Verso una economia della felicità?

A questo proposito, stanno addirittura nascendo studi economici internazionali basati sulla “economia della felicità” (London School of Economics), oppure su “La decrescita felice” di Serge Latouche insieme ad altri, come il BES, in cui, semplificando molto, vengono misurati (secondo varie metodiche) dei parametri che i cittadini di singole comunità definiscono come adatti a misurare la loro felicità.

Un nuovo “modello di sviluppo generale” non è ancora stato definito con chiarezza e, forse, non potrà essere definito mai. Tuttavia, il solo fatto che esistano sforzi diffusi per definire un modello di sviluppo “diverso da quello attuale” è un fatto notevole.

Ciò è tanto più importante quanto più diffusi saranno questi sforzi, quanto più indipendenti dalla ricchezza di chi vi si impegna, quanto più “slegati” dal pensiero religioso di chi vi si dedica. Si noti che alcuni aspetti di questo secondo “modello di sviluppo” sono già presenti nel Vangelo cristiano.

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