Russia: un isolamento non definitivo

Soldatesse ucraine in guerra contro la Russia

Azioni e reazioni in una guerra che non si combatte solo sul campo. Quanto sono efficaci le sanzioni e quanto dobbiamo aspettarci dalle reazioni della Russia nel prossimo futuro?

Siamo al 14° giorno di guerra fra Russia e Ucraina. La Russia appare sempre più isolata, schiacciata da sanzioni poderose, come mai altro Paese ha subito nel corso della storia. McDonalds, BP, Zara, Coca-Cola, H&M chiudono i battenti; solo ieri (8 marzo) la catena di fast-food più famosa del mondo ha chiuso 850 punti vendita in Russia e si prospettano altre azioni da parte dell’Occidente, soprattutto nel settore delle forniture di energia. L’agenzia Fitch ha ulteriormente declassato il rating del Paese da B a C, prospettando il “rischio di un imminente default” del debito della Federazione Russa.

Due fronti, due interpretazioni

I fronti di guerra, ormai, sono sostanzialmente due: quello che si combatte nelle strade e sui cieli dell’Ucraina – che indigna, intristisce e preoccupa – e quello che viaggia sulle dimensioni meno fisiche, ma altrettanto letali, dell’economia.
A livello militare, la fog-of-war non permette di leggere le cose per come stanno andando veramente (l’unica cosa sicura è che le operazioni militari proseguono, che la resistenza ucraina crea non pochi problemi alle forze d’occupazione e che ormai l’esodo biblico verso i paesi confinanti ha superato i due milioni di profughi), ma anche sul versante economico le cose non sembrano essere quelle che appaiono.
Ieri inglesi e americani hanno ufficialmente chiuso i rapporti di fornitura energetica con la Russia di Putin, oggi è notizia del progressivo taglio dell’import di gas russo da parte della UE: si parla di due terzi del totale entro la fine del 2022. Tutto ciò mentre i dazi sul gas e sul petrolio russo sono rimasti invariati e le sanzioni imposte dall’Occidente non toccano la Gazprombank, la banca d’affari emanazione della Gazprom, gigante dell’energia da cui noi europei compriamo il gas. Questo è sicuramente uno dei motivi per cui, oggi, riusciamo a contrastare – con i nostri sistemi di riscaldamento – i venti siberiani che si stanno abbattendo sull’Europa in questo gelido inizio di marzo.

E-commerce bloccato in Russia? Non completamente

Intanto a Mosca sono ricomparse le code dei cittadini agli sportelli bancari e davanti ai negozi, resuscitando l’immagine iconica di una quotidianità sovietica (quasi) dimenticata. In Russia, solo con grande difficoltà si riesce a fare acquisti utilizzando i sistemi di pagamento con bancomat e carte di credito, soprattutto quelle dei circuiti internazionali. Il resto sembra tutto bloccato. Sembra...
È vero che gli acquisti per via telematica sono difficili (è notizia di un paio di giorni fa della chiusura dei servizi di Amazon in Russia e Bielorussia) ma, ad esempio, la piattaforma Ozon – corrispettivo russo di Amazon, quotato al Nasdaq – sta continuando a operare senza grandi problemi, così come i servizi di e-commerce cinesi, che in Russia sono ancora assolutamente attivi.

Il (non) blocco delle transazioni internazionali

A proposito di Cina... Qualche minuto fa è stata battuta la notizia dell’irritazione cinese nei confronti della NATO, rea di aver causato la guerra e di inasprire le tensioni con la Russia di Putin. La reazione americana non si è naturalmente fatta attendere. Come dichiarato dal segretario americano per il commercio, Gina Raimondo, le azioni contro le aziende cinesi che collaboreranno con la Russia saranno "devastanti". Insomma, un crescendo di tensione che non ha nulla di positivo.
Ma cosa ha da guadagnare Pechino da questo stato di cose e, soprattutto, dalla stretta relazione con la Russia di Vladimir Putin? Moltissimo, certamente.
L’espulsione di sette banche russe e tre bielorusse dal circuito di pagamenti internazionali SWIFT, sebbene sembri un’arma letale per il futuro, non è in realtà una soluzione così efficace. Sul sistema di transazioni internazionali si affacciano altre due realtà: l’SPFS (progetto avviato nel 2014 dalla Banca centrale della Federazione Russa in risposta alla minaccia americana di escludere la Federazione dal circuito SWIFT dopo l'invasione della Crimea) e il sistema CIPS (Chinese-Border Inter-Bank Payment), cinese appunto, che da tempo i russi stanno pensando di integrare nel precedente. Si tratterebbe di una scorciatoia che agevolerà le relazioni finanziarie non solo fra Russia e Cina, ma che si estenderà a un gruppo nutrito di nazioni fra cui Turchia e Iran, ma anche India e paesi dell’Unione Economica euroasiatica (EAEU), quell’entità che comprende Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan. Se pensiamo poi che al solo sistema SPSF sono collegate 23 banche straniere (fra cui istituti bancari svizzeri e tedeschi), si fa presto a capire che questo accanimento occidentale potrebbe non avere gli effetti sperati.

Anche l’elettronica non è una soluzione contro la Russia

C’è poi il mondo dell’elettronica e quello delle materie prime, che tanto interessa chi produce, assembla e/o distribuisce sistemi elettronici.
Ma quanto significa l’embargo di prodotti high-tech alla Russia e alla Bielorussia in termini reali? Poco, disgraziatamente, soprattutto perché gli effetti veri delle sanzioni si sentiranno nei mesi/anni a venire, non certo nei prossimi giorni.
Oltre a ciò ci sono poi due elementi importanti: la Russia, dal punto di vista elettronico, conta in minima parte, circa lo 0,1% del mercato globale (50 miliardi su un totale di 4,5 trilioni di dollari) e non si considera mai a sufficienza che, dal punto di vista della produzione di semiconduttori, i Russi ci forniscono buona parte delle materie prime di cui abbiamo bisogno: il palladio, il platino, l’oro, il neon, l’elio, lo xeno, il krypton e i suoi isotopi. Elementi questi che, ricordiamolo, prima del conflitto arrivavano anche dall’Ucraina e su cui – naturalmente – oggi non possiamo più contare.
Ricordiamo, infine, che la Cina fornisce il 70% dei semiconduttori alla Russia. Certo, non si tratta di tecnologie particolarmente sofisticate (un conto è controllare un sistema avionico, un conto è gestire l’apertura e la chiusura della porta di un garage), ma non crediamo che sia facile affamare il paese con sanzioni tecnologiche, così come è sembrato dalle dichiarazioni del presidente americano Joe Biden in occasione della conferenza stampa del 24 febbraio scorso.
La speranza di strangolare l’economia russa con l’elettronica e l’high-tech è una strada tortuosa e insicura, che passa attraverso minacce reciproche e climax imprevedibili.

Infowar e guerra del copyright

Last, but not least la guerra delle informazioni, quella di cui i russi sono maestri.
Molti sono i cittadini della Federazione russa che attribuiscono le loro difficoltà quotidiane all’aggressione “immotivata” dell’Occidente, reazione questa che la dice lunga sull’unilateralità della pressione mediatica del regime e sulle minacce alla sicurezza personale che hanno fatto scappare giornalisti e gli organi di stampa internazionali dal Paese. Le notizie che passano sui media russi sono le delegazioni festanti di ucraini all’arrivo dei liberatori russi a bordo dei carri armati vittoriosi.
Un ritorno, di nuovo, a un’iconografia ex sovietica che speravamo vivamente di aver archiviato nei libri di storia.
Cosa interessante, e che va al di là dei contrasti militari e/o economico-finanziari, è che la guerra in Ucraina si combatte anche su una dimensione diversa: quella delle licenze software e dei diritti d’autore. Oltre alle costanti operazioni di cyberwarfare che si susseguono ininterrottamente (vedi le operazioni degli hacker russi contro i siti finanziari occidentali e le risposte di Anonymous, che hanno oscurato per un certo periodo i siti governativi russi) è notizia di qualche minuto fa la volontà della Russia – per motivi di reazione alle sanzioni occidentali – di utilizzare i software occidentali senza pagarne le licenze.
Non sembra naturalmente una grande novità, visto che il software pirata a livello internazionale arriva principalmente dalla Russia. Anche qui ci saranno morti e feriti: non fra soldati e civili, ma fra gli smanettoni che da anni sfruttano i servizi russi del dark web per scaricare software illegale. Quei siti, sicuramente, verranno presto cancellati.
A tutto ciò non è mancata la reazione dell'occidente: volete usare musica russa per i vostri prossimi podcast? Fate pure. Non ci sarà nessuno (almeno per il momento) che vi chiederà di pagare i diritti d'autore.

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