Produrre elettronica in Italia

Si è svolto il 25 febbraio, presso la redazione di PCB Magazine, il secondo appuntamento della serie di tavole rotonde dal titolo “Produrre elettronica in Italia”, incontri che hanno come obiettivo quello di tracciare una road-map sulla situazione della filiera della produzione elettronica italiana. L’incontro ha visto la partecipazione dei rappresentanti di OMR e Tecnomaster come produttori di circuiti stampati, di Laryo come distributore di macchine di produzione, di MyAutomation come fabbricante di macchine e di Nuova Roj come produttore di dispositivi elettronici destinati a settori industriali e civili. In occasione dell’incontro sono stati discussi una serie di temi importanti in relazione alla crisi congiunturale e alle difficoltà del settore a livello globale, ma soprattutto si è parlato della situazione attuale della filiera elettronica nazionale, argomento sensibile questo, che nei prossimi mesi seguiremo con particolare attenzione, visto che rappresenta l’ossatura del mercato di cui noi di PCB Magazine, siamo una delle voci.

La produzione oggi in Italia
Ormai i circuiti stampati hanno raggiunto livelli congiunturali pari a quelli dei semiconduttori. Questo presupposto coinvolge le strategie che le aziende dovrebbero o, più verosimilmente, hanno già adottato per affrontare una possibile ripresa. Uno dei problemi che oggi maggiormente emerge da un riscontro con gli operatori del settore è la mancanza di componenti (attivi e passivi) e di materiali di base per la realizzazione di circuiti stampati. Questo è dovuto alla “repentina ripresa” che ha un po’ spiazzato tutti e che ha portato a uno svuotamento dei magazzini, oppure i motivi sono diversi? È stato questo l’argomento introduttivo, che ha dato il via a una serie di interessanti percorsi di confronto. Secondo Raffaele Fantelli e Arduino Pattaro di Tecnomaster, il tipo di richiesta di circuiti stampati che proviene dall’attuale mercato e che riguarda soprattutto le prototipazioni getta una luce su cosa ci sia nel settore e in quale direzione ci si stia avviando. I volumi sono stati spostati in gran misura all’estero, lasciando alla produzione italiana solo i piccoli, i medi volumi oltre, naturalmente, ai prodotti di nicchia. Il momento è significativo, perché ci sono in atto segnali di inversione di tendenza col rientro delle produzioni non solo dalla Cina, ma anche dall’Europa dell’est. I principali motivi di tale “ritorno” sono imputabili naturalmente ai tempi lunghi di consegna e alla qualità mediocre dei prodotti, elementi questi su cui la produzione europea può ancora confrontarsi con lo strapotere economico orientale.
Non solo, ma come fa notare Vincenzo Sgambetterra di Laryo l’inversione di tendenza riguarda in Italia principalmente i prodotti high-tech. Naturalmente ciò implica da parte delle aziende una spiccata capacità di adattarsi al cambiamento. Ciò significa che nei prossimi tempi si continuerà sicuramente a fare elettronica in Italia, ma con volumi bassi e medio-bassi e – soprattutto – caratterizzati da un elevato contenuto tecnologico. Sgambetterra sottolinea che, parallelamente, si assisterà al progressivo spostamento dei prodotti di fascia bassa in aree prossime ai confini continentali, come la Tunisia, là dove il costo del lavoro è significativamente minore rispetto a quello europeo, rendendo però gli approvvigionamenti logisticamente molto più convenienti.

L’aumento dei prezzi in Cina
Questo comportamento fa eco a quanto accade nella stessa Cina, dove anche la produzione cinese si comincia a delocalizzare nelle aree geografiche limitrofe (il Vietnam, per fare un esempio), paesi in cui il lavoro viene ora offerto a un costo più interessante che non entro i confini cinesi. Già, perché i costi anche in Cina iniziano a salire: è questo il caso dei prezzi delle macchine e della componentistica che – a detta di Riccardo Romani e Massimo Alinovi di Nuova Roj – impone un cambiamento radicale nelle strategie commerciali nei confronti del Paese estremorientale.
Le strategia seguite alla globalizzazione hanno distorto le politiche commerciali, sottolineano ancora i due rappresentanti dell’azienda biellese; pensando infatti ai mercati di riferimento, si va infatti in Cina con degli obiettivi di export e si poi finisce per fare dell’importazione, con tutti i rischi che questo può comportare, primo fra tutti la scomparsa progressiva delle capacità produttive nostrane e una dipendenza sempre più stretta dal mercato straniero, cinese prima di tutto.

Pericoli alle porte
Perdita di produzione, affievolirsi della struttura della filiera elettronica, rischi connessi all’esaurimento delle potenzialità produttive sono alcuni dei temi introdotti dall’intevento di Francesco Meroni di OMR, che sottolinea come l’Italia abbia costantemente perso in industria e tecnologia nell’ultimo decennio, una perdita difficilmente se non impossibile da recuperare.
Il mondo della produzione nel settore dei computer e delle telecomunicazioni in particolare è irrimediabilmente perso, ciò in primo luogo per la folle corsa alla convenienza estremorientale, ma anche e soprattutto perché non è stata condotta una politica industriale lungimirante: non si è tenuto conto infatti che con la scomparsa delle fabbriche, la perdita del know how tecnico è stata inevitabile e che risalire la china diventa ora quasi impossibile.
Il quadro a tinte fosche della situazione in corso, fa sempre notare Meroni, si aggrava ulteriormente se si considera che le piccole e medie imprese italiane operanti nel settore hanno fatto molta fatica a globalizzarsi per via di un individualismo esasperato e per una mancanza di visione strategica imprenditoriale a medio e lungo termine. Al di là della situazione recessiva in cui ci troviamo, questo è uno dei motivi che decreterà una contrazione numerica inevitabile nel numero delle aziende presenti sul territorio; le dimensioni aziendali diventano così un grosso limite, per il cui superamento bisogna dar vita a delle aggregazioni, sole opportunità per creare massa strategica e possibilità di sopravvivenza.

Aggregazioni e cultura d’impresa
La posizione di Raffaele Fantelli concorda con quanto sostenuto da Francesco Meroni. La prospettiva individuata dal rappresentante di Tecnomaster si apre verso una dimensione più “internazionale” del problema. È indubbiamente difficile spingere verso aggregazioni in Italia, meglio e più semplice è invece farlo in Europa. In questa considerazione va tenuto conto anche della crescente difficoltà nell’accedere alle linee di credito in un panorama in cui poche società hanno la capacità autonoma di investire; e oggi – di nuovo – chi non ha questa capacità rischia di non riuscire a sopravvivere.
La necessità di reagire a elementi che paventano l’impoverimento della filiera e la scomparsa di parte del tessuto produttivo nazionale con una dovuta cultura d’impresa è stato l’argomento dai rappresentanti di Nuova Roj. C’è infatti la necessità di abbracciare una cultura imprenditoriale che porti a puntare su partner capaci di considerare il valore aggiunto e non il puro costo e che, nuovamente, abbracci la capacità di pensare in modo più “internazionale” e meno legato alle consuetudini della piccola impresa artigianale. Il numero delle aziende che investono in progettazione e nell’ammodernamento delle linee produttive è estremamente esiguo e con questo si spiega, almeno in parte, la difficoltà di sopravvivere a momenti difficili come quello attuale.
L’arma vincente sarebbe – di nuovo – quella di riunire le risorse e superare i meri limiti imposti dalle abitudini aziendali e dal provincialismo imprenditoriale.

Risorse umane e scomparse produttive
Un elemento fra quelli appena citati e che contribuisce a complicare ulteriormente il problema di difficoltà che sta vivendo la filiera elettronica, fa notare Francesco Meroni, è poi quello delle risorse umane: con la progressiva scomparsa dei grandi player del settore produttivo, manca oggi il punto di riferimento per la preparazione del personale; formazione e distribuzione del know how si trovano dunque in difetto e questo non può che essere preoccupante visto che questi elementi sono essenziali per rispondere in modo efficace alle difficoltà e intraprendere strategie vincenti a medio e lungo termine. Con la prospettiva di trovarsi di fronte a un deserto produttivo si sta presentando poi un altro problema, così come fa notare Andrea Rocco di MyAutomation: quello del ritorno delle produzioni in Europa. Marchi prestigiosi appartenenti al mondo dei sistemi dell’assemblaggio elettronico stanno infatti velocemente tornando a produrre nel Vecchio continente: il motivo principale è, appunto, quello delle difficoltà che la stessa Cina sta vivendo in questo momento (230 aziende chiuse negli ultimi mesi su un totale di 900 rappresentano una percentuale estremamente alta anche per gli standard cinesi), ma anche e soprattutto per quella diminuzione progressiva della qualità che rappresenta il grande limite delle produzioni cinesi. Riusciremo ad ovviare a questo problema, visto che il personale preparato necessario è merce rara e che affrontare investimenti in questo momento è – per l’imprenditoria italiana – un vero e proprio terno al lotto?
Il ritorno delle produzioni è un bene secondo tutti i partecipanti, che concordano nel sostenere che produzioni strategiche (come i dispositivi per l’alta velocità e i contatori Enel) dovrebbero essere realizzati nel nostro paese anziché avviarne la produzione in Cina. Tutti sono comunque d’accordo sul fatto che, oltre alla fuga di cervelli e alla mancanza di liquidità che frena gli investimenti, parte delle responsabilità sono da attribuire al sistema Italia, che dovrebbe essere chiamato a dare le giuste direttive in materia e non essere condizionato anch’esso, come spesso avviene, dalla corsa ai prezzi, che svilisce e inaridisce il mercato nazionale.
A tutto ciò, aggiunge Sgambetterra, si somma la giungla di adempimenti burocratici che non pesano solo sui tempi decisionali, ma caricano di costi importanti e, a volte, non sostenibili le aziende nazionali.

Margini di contribuzione e pagamenti
Già, costi burocratici: ma che dire dei tempi di pagamento, assurdamente lunghi per un Paese moderno e che si rispetti a livello internazionale? Sebbene l’Unione Europea abbia emanato una legge che impone il pagamento entro i sessanta giorni, in Italia i tempi lunghi e i crediti ignorati sono fenomeni all’ordine del giorno, fatto questo che contribuisce a rendere il nostro Paese un’area difficile per l’imprenditore locale e certamente evitabile dall’investitore straniero. Il problema, concordano i partecipanti, nasce dalle aziende più importanti e dalle strutture parastatali che sono spesso i peggiori pagatori. Da centoventi a centottanta giorni – come fa notare Meroni – sono tempi di pagamento che all’estero non sono neppure immaginabili e che costituiscono un freno per le attività d’impresa. A questo, aggiunge Rocco, si sommano i problemi d’insolvenza, che si acuiscono soprattutto durante i periodi recessivi. Il rappresentante di MyAutomation fa notare che il 2009 è stato – non a caso – l’anno con la più alta punta di insolvenza degli ultimi decenni. Le soluzioni non sono facili da trovare, soprattutto in presenza di una giustizia che non agevola l’imprenditore e che spesso allunga a dismisura i tempi di soluzione delle diatribe.

Problemi finanziari, occupazione
e strategie di comunicazione

Quali sono i problemi che si dovranno affrontare dunque in questo anno di ripresa? Tutti i partecipanti concordano sul fatto che i problemi finanziari e quelli occupazionali saranno i principali da affrontare in questo 2010. Non si dimentichi che lo sfibramento della filiera elettronica porterà inevitabilmente a una riduzione di determinati settori, come ad esempio quello della fornitura, sempre più in difficoltà a seguito della delocalizzazione selvaggia delle strutture produttive compiuta negli anni passati. Da una parte assisteremo dunque a un ritorno delle attività in Europa (che permetterà al circuito stampato di diventare un prodotto strategico nel prossimo futuro), dall’altra a una continua fuga di personale all’estero, allettato da una meritocrazia da noi sconosciuta e da una sicurezza per il futuro che il nostro Paese non sembra riuscire a garantire. In chiusura della giornata è stato poi toccato il tema delle fiere di settore e degli strumenti per la promozione dei prodotti e della propria azienda. Gli investimenti sulla rete di vendita sono i preferiti, mentre parlando di fiere la scelta è orientata verso quelle internazionali, dove si investe per dare visibilità alla propria azienda tentando di approcciare un mercato che non può più essere limitato agli stretti confini nazionali. L’accorpamento è anche qui la tendenza auspicabile: non più piccole fiere locali dai minimi riscontri d’immagine, ma un'unica fiera europea, magari itinerante, che rappresenti ogni uno o due anni il settore secondo una prospettiva veramente europea.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome