Ups, una leadership da mantenere

Da tempo l’Italia occupa un ruolo di rilievo mondiale nel campo degli Ups (Uninterruptible Power Supplies), grazie all’attività di numerose aziende capaci di realizzare prodotti tecnologicamente innovativi e caratterizzati da un interessante rapporto prezzo/prestazioni. Nel decennio scorso il panorama del settore è profondamente cambiato, a causa di un processo di concentrazione che ha visto molte aziende italiane entrare a far parte di grandi gruppi internazionali; il nostro paese, tuttavia, continua a mantenere un ruolo importante in questo campo, soprattutto per quanto riguarda le attività di progettazione. Significativo anche il volume del mercato interno italiano, che nel 2012 si è assestato su 130 milioni di euro; il fatturato degli Ups effettivamente fabbricati in Italia, invece, vale circa 30 milioni di euro, dieci dei quali imputabili alle esportazioni. Di questo settore e delle sue prospettive abbiamo parlato con Alberto Sciamè, presidente del Gruppo Ups di Anie Automazione. L’organizzazione, che fa parte di Federazione Anie, rappresenta attualmente dodici aziende presenti in Italia e ambisce ad attrarre nuove adesioni.

Il panorama odierno
Iniziamo chiedendo a Sciamè di descrivere il panorama odierno del settore Ups in Italia, dopo il processo di concentrazione del decennio scorso. “Le acquisizioni avvenute negli ultimi anni hanno cambiato completamente faccia a questo settore; molti produttori, anche di dimensioni importanti, sono stati assorbiti da grandi gruppi internazionali. Si trattava infatti di aziende appetibili in virtù del loro patrimonio tecnologico e purtroppo nel nostro paese non c’erano soggetti industriali capaci di partecipare al processo di concentrazione. Già prima del 2006 Merlin Gerin era stata acquisita dal gruppo Schneider; recentemente Chloride è entrata a far parte del gruppo Emerson, mentre la reggiana MetaSystem è stata assorbita dal gruppo Legrand. Sono comunque rimasti alcuni produttori italiani indipendenti, come Siel, Borri, Powertronics e Aros, quest’ultima appartenente al gruppo Riello. Per effetto delle acquisizioni, l’attività produttiva in Italia si è ridotta notevolmente; molti dei grandi gruppi internazionali, infatti, possiedono fabbriche in Cina. Tutti i gruppi, però, hanno mantenuto attività di progettazione in Italia, più o meno rilevanti. Bisogna comunque ricordare che la metà del mercato degli Ups è costituita dai prodotti con potenza fino a 10 kilovoltampere, prodotti che oggi vengono fabbricati unicamente in Cina”, spiega Sciamè.

Leadership tecnologica
Il punto di forza che ha consentito ai produttori italiani di acquisire rilevanza a livello mondiale - e che tuttora permette di mantenere attività di progettazione nel nostro paese - è la loro riconosciuta capacità di innovazione tecnologica, allineata a quella dei più avanzati produttori asiatici. “Gli italiani hanno migliorato il prodotto Ups”, sostiene Sciamè. “I prodotti progettati in Italia sono i più innovativi: ad esempio, ormai tutti i sistemi concepiti nel nostro paese sono “transformerless”, cioè privi di trasformatore sul lato inverter in uscita, e utilizzano Igbt nel raddrizzatore per assicurare un assorbimento di corrente sinusoidale. Gli Ups progettati negli Usa, invece, sono molto più tradizionali: utilizzano ancora i trasformatori in uscita e non hanno un assorbimento sinusoidale perché impiegano raddrizzatori basati su Scr. Inoltre gli italiani hanno anche migliorato il rapporto qualità/prezzo degli Ups. All’estero, quindi, il prodotto progettato in Italia è vincente, a meno che non debba scontrarsi con produttori locali molto radicati”.

Aumentare i rendimenti
Oggi, spiega Sciamè, uno dei parametri prestazionali più importanti ai fini della competitività degli Ups è il rendimento, cioè il rapporto tra la potenza effettivamente erogata al carico e quella assorbita dalla rete elettrica. Per ottimizzare questo parametro, rilevante soprattutto nei sistemi di alta potenza, occorre ovviamente ridurre le perdite interne al gruppo di continuità. “Questo è il motivo per cui i produttori di Ups sono sempre alla ricerca di nuovi Igbt caratterizzati da valori massimi di corrente e di tensione più alti. In particolare, la possibilità di operare a tensioni di batteria più alte, ad esempio 550 volt, consente di diminuire i valori di corrente all’interno dell’Ups, quindi di ridurre le perdite e di aumentare il rendimento. Non dimentichiamo che le future nuove norme europee imporranno valori minimi di rendimento e limiti più stringenti per il fattore di potenza e per la distorsione armonica”. Un altro aspetto importante ai fini della competitività degli Ups è la possibilità di assicurare il monitoraggio a distanza dei sistemi, un servizio fornito dalle aziende che li fabbricano. Anche per questo motivo, i moderni Ups richiedono un’elettronica di controllo molto potente; i produttori sono quindi alla ricerca di microprocessori dotati di capacità di elaborazione sempre più alte, così da poter utilizzare una singola Mpu per controllare tutte le funzioni del sistema: raddrizzatore, inverter, commutatore statico, regolazioni ecc. Ancora in tema di innovazione tecnologica, va rilevato che anche in questo settore iniziano a farsi strada le batterie al litio (tuttora più costose dei tradizionali accumulatori ermetici al piombo) e che negli ultimi anni si sono diffuse le architetture modulari ed espandibili, nelle quali il carico elettrico è suddiviso tra più moduli ridondanti per consentire al sistema di continuare a funzionare anche nel caso di guasto di un singolo modulo. Sciamè ricorda a questo proposito che il massimo aumento dell’affidabilità si ottiene con un numero di moduli non troppo elevato; oltre un certo limite, infatti, l’aumento del numero di componenti moltiplica le possibilità di guasto e quindi porta a un calo dell’affidabilità.

Unico limite: la crisi economica
Il settore degli Ups continua a essere molto dinamico e tecnologicamente innovativo e non sembra soffrire di problemi specificamente legati alla propria filiera produttiva o al proprio target applicativo: Sciamè riferisce infatti che generalmente i produttori riescono a gestire bene l’approvvigionamento dei componenti, grazie a una precisa attività di programmazione, e che i picchi di domanda vengono assorbiti tramite il ricorso a terzisti. Inoltre, per la loro stessa natura, gli Ups sono prodotti di uso universale, slegati dalle sorti di specifiche applicazioni (a differenza, ad esempio, degli inverter per gli impianti fotovoltaici, che hanno risentito del calo degli incentivi pubblici). Non c’è dubbio, quindi, che in prospettiva gli Ups possano continuare a rappresentare un settore importante per l’elettronica italiana. “Se non ci fosse stata la crisi economica, il nostro mercato avrebbe avuto un’espansione”, conferma infatti il presidente del gruppo Ups. “Ma l’acquisto dei gruppi di continuità è legato ai nuovi investimenti industriali, che sono quasi fermi. Inoltre c’è il problema dei mancati pagamenti, non solo da parte della pubblica amministrazione ma anche dei privati. Gli installatori elettrici, che rappresentano un canale di vendita importante per gli Ups, sono molto in difficoltà per questo motivo. Il giro d’affari del 2012, quindi, è calato rispetto al 2011 e per l’anno in corso ci attendiamo un calo ulteriore”, conclude Sciamè. Non resta quindi che augurarsi una rapida ripresa dell’economia.

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