Sensori di rilevazione del particolato on-board

particolato

Come funziona la cella di misura del particolato integrata nello scarico dei più recenti veicoli Diesel per determinare a bordo l’effettiva efficacia del FAP/DPF

Per soddisfare gli attuali standard legislativi sulle emissioni nell’UE e negli Stati Uniti, i moderni veicoli diesel vengono equipaggiati con un dispositivo di abbattimento del particolato che può essere il sistema LNT (Lean NOx Trap) o, molto più frequentemente, la trappola per il particolato, nota ai più come filtro antiparticolato (DPF o FAP). Il filtro antiparticolato è una soluzione meccanica che lascia passare i gas di scarico trattenendo gli agglomerati di idrocarburi incombusti grazie a una trama tanto fine da bloccare anche il PM10; per evitarne l’intasamento, la gestione elettronica rileva il delta di pressione tra ingresso e uscita e provvede alla periodica “rigenerazione”. Tuttavia questo sistema non fornisce alcuna garanzia sull’efficacia di abbattimento del particolato, che di fatto è dedotta supponendo che la trappola sia integra, dato che la risposta del sensore di pressione differenziale non è indice di abbattimento, ma semplicemente di intasamento da ritenzione di una trappola che si ritiene integra, ovvero non manomessa. La manomissione del FAP/DPF non è una pratica infrequente e consiste nel rimuovere il filtro; a rimedio, i software delle recenti ECU segnalano l’anomalia quando la pressione fornita dal sensore differenziale è nulla; tuttavia, esistono più escamotage per aggirare questo controllo, come il praticare dei fori nel filtro o modificare il firmware della gestione motore.

Per questa ragione i veicoli Diesel che dovranno soddisfare le normative più severe sulle emissioni inquinanti come la la CARB e la legislazione UE (che impone un limite di 1 mg/km di particolato nei veicoli EURO6), devono poter effettuare la misurazione diretta delle emissioni di particolato a bordo; questo viene già fatto su alcuni veicoli con motore EURO6d-temp (per esempio il 1.6 CDTI Opel-GM in versione LVL) con un nuovo sensore che fornisce precisione e sensibilità sufficienti, nonché la robustezza necessaria per la stabilità funzionamento a vita in condizioni di gas di scarico.

Si tratta in pratica di mettere a bordo del veicolo qualcosa che fino a pochissimo tempo fa si trovava in apparecchiature fisse e mobili per la quantificazione del particolato (il cosiddetto opacimetro o la cella di misura delle polveri sottili) in uso in qualche officina, ma più comunemente nei laboratori di ricerca, nei reparti R&D delle case automobilistiche, negli istituti di misura e certificazione.

 

Il sensore di particolato

Non è stato facile arrivare a produrre un dispositivo in grado di verificare la presenza di PM dopo il FAP/DPF e di farlo durante il funzionamento del veicolo, facendo gestire dati ed eventuali anomalie al firmware in esecuzione nella ECU motore; ma si sa che con l’elettronica si può fare tutto o quasi, come ha dimostrato la Bosch con il suo sensore EGS-PM, che sostanzialmente è una cella di misura del particolato tanto piccola da poter essere introdotta nel condotto dei gas di scarico a valle del filtro e interfacciarsi con la ECU.

Non solo deve essere piccola, ma la cella di misura deve poter fornire un segnale elettrico di entità proporzionale alla massa di particolato intercettata, senza però rimanere intasato a sua volta, dato che si tratta di fuliggine che a lungo andare si deposita in quantità crescente. Ebbene, la tecnologia elettronica è riuscita a dare all’automotive quello che le occorreva: un sensore in grado di rilevare la massa di particolato che transita dallo scarico nell’unità di tempo, capace di auto-pulirsi quando serve e di dedurlo da sé, grazie all’interfacciamento a un’unità elettronica di condizionamento posta, per ragioni di qualità della misura, nelle immediate vicinanze.

Il sensore EGS-PM (la sigla sta per Exhaust Gas Sensor - Particulate Matter) è composto da un involucro metallico nella cui testa è collocato il corpo sonda (ossia quello che penetra nei condotti di scarico) forato alla sommità per far entrare e uscire i gas esausti da analizzare; dopo la sonda si trova una filettatura per avvitare il dispositivo e una sezione esagonale per fare presa con una comune chiave. Il corpo termina con uno stelo dal quale escono i cavi di connessione all’unità elettronica di interfaccia, chiamata SCU (Sensor Control Unit) cui i cavi si collegano mediante un apposito connettore (Figura 1). L’unità contiene i circuiti di condizionamento e di elaborazione del segnale fornito dal sensore e a sua volta si interfaccia con la ECU motore attraverso una linea CAN-Bus.

Figura 1 – Sensore Bosch EGS-PM con Sensor Control Unit
Figura 1 – Sensore Bosch EGS-PM con Sensor Control Unit

All’interno del sensore si trova una struttura interdigitata (IDE, Inter Digitated Electrodes) formata da elettrodi intercalati collegati a coppie a due contatti elettrici.

La tecnologia Bosch vede in campo elettrodi multistrato su supporto ceramico, alla cui superficie sensibile è applicata una tensione continua; quando tra gli elettrodi interdigitati si depositano le particelle di fuliggine veicolate dai gas di scarico, a un certo punto lo spessore tra le coppie è tale da unire contatti adiacenti (formando quelle che vengono definite resistance-drop) determinando così la formazione di una resistenza elettrica finita, che sarà tanto minore quanto più elevata sarà la quantità di particolato addensata. La resistenza determina lo scorrimento di una certa corrente, la cui intensità sarà pari alla quantità di particolato, perché gli idrocarburi incombusti sono agglomerati a base di carbonio e come tali elettricamente conduttivi; il valore di tale corrente è comunque piuttosto contenuto ed ecco perché il segnale del sensore deve essere amplificato e comunque condizionato in prossimità del dispositivo.

Il complesso del sensore è come propone la vista in sezione in Figura 2, dove appare la disposizione dell’elemento sensibile affacciato verso i fori da cui passano i gas esausti, nonché del cablaggio.

Figura 2 – Vista in sezione del sensore di particolato Bosch
Figura 2 – Vista in sezione del sensore di particolato Bosch

Questo genere di sensore trova impiego nei veicoli che vengono progettati per rispondere alle sempre più stringenti normative (CARB, UE ed USA) e che per farlo devono fornire la certezza che il particolato venga realmente abbattuto.

 

L’elemento sensibile

La parte sensibile del sensore Bosch è una struttura a elettrodi interdigitati esposta al flusso dei gas di scarico e i singoli elettrodi sono abbastanza vicini da poter essere uniti da masse di particolato estremamente ridotte, grazie anche al fatto che la polarizzazione delle coppie di elettrodi determina un campo elettrico tale da esercitare una certa attrazione sulle particelle di idrocarburi incombusti favorendo la formazione della tipica “goccia” che unisce due elettrodi affacciati uno verso l’altro. Al contempo, le singole coppie di elettrodi sono rigide e fissate quanto basta per evitare che le vibrazioni trasmesse dal motore causino contatti accidentali che andrebbero a invalidare la misura.

La struttura, come proposto nella Figura 3, contiene anche un riscaldatore ad effetto Joule e quindi una resistenza che viene pilotata dall’unità elettronica SCU per elevare la temperatura degli elettrodi e far bruciare il particolato quando serve, in modo da ripulire (rigenerare) l’elemento sensibile.

Figura 3 - Vista interna dell’elettrodo interdigitato del sensore: a sinistra, la foto e l’ingrandimento dei singoli elettrodi e a destra la struttura con in evidenza elettrodo (in alto), riscaldatore (al centro) e sensore di temperatura (in basso)
Figura 3 - Vista interna dell’elettrodo interdigitato del sensore: a sinistra, la foto e l’ingrandimento dei singoli elettrodi e a destra la struttura con in evidenza elettrodo (in alto), riscaldatore (al centro) e sensore di temperatura (in basso)

Nella struttura viene collocato anche un sensore di temperatura la cui funzione è informare la SCU sulla temperatura di lavoro degli elettrodi interdigitati per correggere i valori letti e soprattutto fare da feedback durante la fase di rigenerazione; il sensore serve anche, in collaborazione con il riscaldatore, per portare la temperatura dell’elemento sensibile oltre il punto di rugiada e garantire che il flusso di corrente derivi non da condensa ma da accumulo di particolato.

Nel complesso, gli elettrodi interdigitati possono essere visti come quelli dei classici sensori di pioggia delle centraline meteo o da irrigazione del giardino.

Il sensore di particolato viene fornito insieme alla sua elettronica di gestione che ne interpreta il segnale, attiva la rigenerazione e comunica alla ECU motore via CAN-Bus le informazioni sulla concentrazione di particolato rilevata nei gas di scarico, affinché vengano eventualmente attivate strategie di correzione dei parametri di combustione, segnalazioni locali (come accendere la spia MIL nel quadro strumenti in caso di permanenza di valori sopra la soglia ammessa) e memorizzazione di codidi d’errore OBD (TC, Trouble Code) leggibili tramite la omonima porta di diagnosi attraverso la strumentazione d’officina.

 

L’unità SCU

Il sensore di particolato Bosch è un sottosistema della gestione elettronica del motore e svolge da sé tutte le funzioni che occorrono a fornire ciclicamente alla ECU motore informazioni sulla concentrazione di particolato; tutto il suo funzionamento e la relativa manutenzione, sono implementati autonomamente.

Per l’esattezza, la SCU alimenta gli elettrodi interdigitati del sensore, acquisisce l’informazione sulla temperatura interna e controlla il riscaldatore; il tutto in base al firmware caricato nel suo microprocessore. Provvede inoltre alla diagnostica e alla conversione del segnale analogico in dati a protocollo CAN.

La Sensor Control Unit viene collocata molto vicina al sensore per poter elaborare con precisione e col minimo disturbo possibile la debole corrente che fluisce tra gli elettrodi interdigitati in presenza di una certa quantità particolato. Questa SCU gestisce il funzionamento di tutti i componenti del sensore e dei dati acquisizione; tali dati vengono trasferiti da e verso la ECU motore tramite CAN-bus, dove una release firmware provvede alla gestione e all’integrazione nel sistema. In particolare, la ECU motore elabora i dati e determina l’efficienza del FAP/DPF, oltre a determinare il punto di rugiada. La ECU inoltre può richiedere l’esecuzione della misura con la periodicità desiderata.

Le valutazioni sulla soglia di massa di particolato da considerare vengono eseguite attraverso un modello matematico che mette a confronto il tempo di risposta dell’EGS-PM misurato con un tempo di risposta previsto basato su un modello creato in laboratorio. Quest’ultimo utilizza un flusso di massa di particolato simulato uscente dal motore ed altri parametri dei gas di scarico e tiene conto di un modello di DPF per prevedere il comportamento del sensore a valle del DPF.

Prima di ogni fase di misurazione, l’elemento sensore viene rigenerato mediante riscaldamento in modo che l’elemento sensore assuma uno stato definito prima dell’inizio del processo di misurazione. Il software diagnostico DPF valuta quindi la capacità funzionale del DPF utilizzando la corrente misurata; in caso di superamento della soglia, viene generato un DTC sulla porta OBD.

La gestione elettronica inerente alla misura del particolato è descritta dallo schema a blocchi in Figura 4, dove le operazioni compiute nella ECU sono a sfondo verde.

Figura 4 – Schema a blocchi del monitoraggio dell’efficienza del DPF mediante il sensore EGS-PM
Figura 4 – Schema a blocchi del monitoraggio dell’efficienza del DPF mediante il sensore EGS-PM

Quanto alla rigenerazione, è una procedura di pulizia eseguita autonomamente dal sensore grazie al  riscaldatore e al sensore di temperatura integrati, gestita dal firmware della SCU, che periodicamente analizza il valore della corrente tra gli elettrodi interdigitati per capire se sono permanentemente e massicciamente uniti dal particolato; tale valutazione si può fare sempre basandosi su un modello matematico ed anche prima dell’avviamento del motore, allorché in teoria senza gas di scarico non deve fluire corrente fra gli elettrodi: se scorre ugualmente significa che tra gli elettrodi si è formata una massa di idrocarburi incombusti che li unisce permanentemente e quindi la corrente rilevata dalla SCU non è dovuta al particolato contenuto nei gas di scarico.

La rigenerazione periodica dell’elemento sensibile viene ottenuta mediante ossidazione ad alta temperatura della fuliggine depositatasi e si svolge così: la Sensor Control Unit alimenta il riscaldatore con una tensione di 12 Vcc modulata in PWM, facendo salire la temperatura degli elettrodi e verificando ciclicamente il segnale fornito dal sensore di temperatura per capire quando è arrivata al valore necessario alla combustione del particolato e operando per mantenerla per tutto il tempo richiesto. Il riscaldatore verrà spento quando la corrente rilevata tra gli elettrodi scenderà sotto la soglia minima o diverrà nulla. L’elevata temperatura determinata nell’elemento sensore dal riscaldatore, in presenza di ossigeno causa l’ossidazione del carbonio e quindi l’espulsione dello stesso sotto forma di CO2.

Il ciclo di misura ed elaborazione del segnale di corrente avviene fra due fasi di rigenerazione ed ha sempre inizio dopo una rigenerazione andata a buon fine; il tutto come descritto dal grafico proposto dalla Figura 5, nella quale, per aiutare a comprendere cosa avviene fra gli elettrodi interdigitati del sensore, sono stati collocati tre fotogrammi che mostrano il progressivo deposito di particolato col passare del tempo dall’ultima rigenerazione.

Figura 5 – Grafico di utilizzo e ciclo di misura del sensore Bosch, con in evidenza la situazione degli elettrodi interdigitati in tre momenti successivi dalla rigenerazione
Figura 5 – Grafico di utilizzo e ciclo di misura del sensore Bosch, con in evidenza la situazione degli elettrodi interdigitati in tre momenti successivi dalla rigenerazione

Dopo ciascuna rigenerazione, prima di iniziare la misura si porta l’elemento sensibile alla temperatura operativa (fase chiamata thermalization nel grafico di Figura 5) che è quella nella quale si ottiene il funzionamento ottimale.

 

Calibrazione e validazione del sensore

Per validare le prestazioni del sensore EGS-PM prima della produzione e dare quindi la certezza che sia in grado di replicare il comportamento dei banchi di misura del particolato, Bosch ha eseguito due test: uno in laboratorio ed uno su un’autovettura (on-board test); nel primo ha  introdotto il dispositivo in un condotto nel quale era affacciata anche la sonda di uno strumento di misura del particolato, immettendo i gas di scarico di un bruciatore di etilene soffiati da un compressore. Qui il sensore ha dimostrato di poter ripetere con affidabilità le misure compiute dal banco di test del particolato.

La prova a bordo è stata invece effettuata su un motore campione Diesel common-rail a 6
cilindri da 3 litri con DPF e conformità EURO4, forando in otto punti il filtro antiparticolato; facendo eseguire al veicolo un test secondo ciclo standard FTP75 simulato al banco di prova dinamometrico, dimostrando la capacità di rilevare correttamente il malfunzionamento del DPF anche a basso flusso di gas di scarico, condizione questa che migliora limitando la distanza tra gli elettrodi. La Figura 6 propone i grafici della velocità simulata dell’auto correlata alle emissioni di particolato rilevate dal sensore Bosch.

Figura 6 – Corrente tra gli elettrodi del sensore EGS-PM in funzione della velocità simulata dell’auto utilizzata per il test di validazione
Figura 6 – Corrente tra gli elettrodi del sensore EGS-PM in funzione della velocità simulata dell’auto utilizzata per il test di validazione

 

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