La quantità di materiale elettronico riciclabile (RAEE) giustifica ampiamente gli investimenti in impianti e processi. Una situazione da sfruttare meglio, anche in Italia
Gli anni in cui investire nel riciclo di componenti elettronici non era necessariamente conveniente per l’insufficienza di materia prima da trattare sono ormai lontani. Eppure, anche di fronte a volumi ormai considerevoli, il settore stenta a decollare come potrebbe, nonostante la crescente attenzione in materia di sostenibilità.
Sicuramente, la situazione non si può considerare disperata, e gli esempi virtuosi non mancano. Tuttavia, i margini di miglioramento sono evidenti, soprattutto alla luce di costi in crescita per le materie prime attualmente più utilizzate, a partire dalle terre rare.
Secondo la quarta edizione del Global E-waste Monitor 2024 elaborata dalle Nazioni Unite, nel 2022 sono stati prodotti 62 milioni di tonnellate di RAEE. Le previsioni indicano un aumento a 82 milioni di tonnellate entro il 2030. Tuttavia, solo il 22,3% di questi rifiuti è stato riciclato correttamente, mentre la maggior parte è finita in discarica o è stata incenerita, aumentando i rischi di inquinamento ambientale.
Com'è prevedibile, i tassi variano notevolmente a seconda delle aree geografiche. In Europa, il tasso di raccolta e riciclaggio è del 42,8%, mentre in Africa è inferiore all'1%. In Asia, dove sono generati circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici all'anno, pochi Paesi hanno leggi o obiettivi chiari per la gestione di questi rifiuti. La produzione pro capite di rifiuti elettronici è di 17,6 kg in Europa, seguita da Oceania (16,1 kg) e Americhe (14,1 kg). Tuttavia, i Paesi a reddito basso e medio-basso gestiscono 18 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici principalmente attraverso il settore informale, con costi sanitari e ambientali estremamente elevati.
RAEE: Italia bene, ma non benissimo
In Italia, i progressi non mancano, anche se si può sicuramente fare meglio. Secondo il Centro Coordinamento RAEE, nel secondo trimestre 2024 la raccolta registra un incremento dei volumi, contribuendo a portare il risultato del primo semestre a un +0,4% rispetto allo stesso periodo del 2023. Vale a dire, 590 tonnellate in più. Complessivamente sono state avviate riciclo 167.754 tonnellate di rifiuti elettronici.
Una crescita trainata dal raggruppamento 4 (IT, elettronica di consumo e PED) che, con oltre 3.000 tonnellate in più avviate a riciclo, conferma il trend fortemente positivo (+8,6%) già evidenziato nei primi tre mesi dell’anno. Segue R2 (buona parte degli elettrodomestici esclusi frigoriferi e congelatori), la cui raccolta supera di 471 tonnellate, con un +0,8% rispetto allo stesso periodo 2023.
A intaccare la prestazione complessiva ci sono invece gli altri tre raggruppamenti. Gli apparecchi per lo scambio di temperatura con fluidi e le sorgenti luminose perdono rispettivamente lo 0,1% e il 2,2%, mentre ben più pesante è il calo a doppia cifra di TV e monitor, -12,5%.
Per quanto riguarda la geografia, il Nord Italia si conferma – per i RAEE – la macroarea trainante della raccolta nazionale. Nel primo semestre dell’anno avvia a riciclo 629 tonnellate in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (+0,7%). Il Centro registra invece l’andamento migliore: +0,8%, pari a +325 tonnellate. Notizie non buone infine dal Sud, dove si inverte la rotta: dopo la performance positiva registrata nei primi tre mesi dell’anno, nel semestre segna il -0,9%, pari a 355 tonnellate in meno.
Entrando ancor più in dettaglio nel significativo raggruppamento 4, nei primi sei mesi del 2024 sono state raccolte quasi 40mila tonnellate materiale, per un incremento dell’8,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Quasi il 60% dei volumi complessivi è stato raccolto nelle regioni del Nord Italia, il 22,5% da quelle del Centro, il restante 17,8% al Sud.
L’andamento migliore è stato registrato dal Friuli-Venezia Giulia, con un aumento di quasi il 30%. Seguono Basilicata, Campania, Veneto, Valle D’Aosta, Lazio, Toscana, Lombardia, tutte con un incremento a doppia cifra. Anche le restanti regioni registrano performance positive, a esclusione di due realtà in cui il dato rimane invariato rispetto all’anno precedente: la Liguria (+0,2%) e l’Emilia-Romagna (+0,1%). L’unico segnale negativo arriva dalla Calabria la cui raccolta registra un calo di poco superiore all’8%.
Il dato di raccolta pro-capite di questa tipologia di RAEE è pari a 0,67 kg per abitante, un risultato sicuramente migliorabile se si considera per esempio la performance della regione più virtuosa d’Italia, la Valle d’Aosta, dove si raccoglie 1,37 kg/ab. Le altre regioni capaci di superare 1 kg di raccolta pro-capite sono il Trentino-Alto Adige (1,24 kg/ab), il Friuli-Venezia Giulia (1,21 kg/ab) e la Sardegna (1,06 kg/ab). Quelle invece ferme a una raccolta pro-capite al di sotto del chilo, ma comunque sopra la media italiana (0,67 kg/ab) sono il Veneto, la Toscana, la Lombardia, l’Umbria, le Marche e la Liguria. Le restanti dieci regioni raccolgono dagli 0,67 kg/ab agli 0,23 kg/ab, un risultato su cui il Consorzio ritiene sia necessario lavorare con il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera.
Riciclare conviene
Sarebbe un errore analizzare questi dati solamente dal punto di vista della sostenibilità e, di conseguenza, sostanzialmente dei costi. Investire su una vera e propria infrastruttura di riciclaggio, con relative competenze e processi, è un’opportunità.
“Come ci risulta da studi condotti nel 2023, con la crescente richiesta di dispositivi elettronici, la domanda di terre rare è prevista crescere del 50% dal 2022 al 2030, arrivando a 340mila tonnellate – spiega Matteo Simonetto, sustainability services manager per l'area Western Europe di TÜV SÜD Group –. La produzione di questi dispositivi ad alta intensità energetica è spesso basata su fonti non rinnovabili, contribuendo alle emissioni di gas serra”.
Il ricorso a materiali riciclabili è una risposta anche a questi problemi. Secondo TÜV SÜD Group, consente di ridurre la dipendenza da risorse non rinnovabili, mentre l'incremento dell'efficienza energetica limita le emissioni di CO2. Per esempio, l’adozione di tecnologie per il trattamento e il riutilizzo dell'acqua è essenziale per diminuire l'impronta idrica. Inoltre, estendere la vita utile dei dispositivi attraverso criteri di progettazione basati anche su durata e riparabilità, può ridurre la frequenza di sostituzione e l'impatto ambientale complessivo.
Due sono quindi i punti al centro dell’attenzione per quanto riguarda l’impatto sull’ambiente di un’attività produttiva nel settore elettronica, l’impronta di carbonio e quella idrica. La prima, quantificata secondo la norma ISO 14067, misura le emissioni di gas serra lungo tutto il ciclo di vita dei prodotti elettronici, mentre la seconda, regolata dallo standard ISO 14046, valuta l'impatto ambientale sull'acqua, come scarsità e inquinamento.
“Misurarle e ridurle aiuta le aziende a identificare le aree del ciclo di vita con il maggior impatto ambientale, permettendo miglioramenti mirati – riprende Simonetto –. Le strategie che possono essere adottate a tal fine includono l’uso di materiali riciclabili e riciclati, l'adozione di energie rinnovabili e la gestione sostenibile dell'acqua”.
Dal punto di vista TÜV SÜD Group, l'adozione di un framework per l'analisi dell'impronta di carbonio e idrica è cruciale per prendere decisioni strategiche e sostenibili, identificando i percorsi più efficaci per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e soddisfare le aspettative di un pubblico globale sempre più attento all'ambiente. Si tratta di un elemento da non trascurare, considerando i costi crescenti delle materie prime, con impatti non secondari anche sui bilanci.
“In questo modo, le aziende non solo rispondono alle crescenti richieste dei consumatori, ma si posizionano anche come leader nella transizione verso una produzione sostenibile”, conclude Simonetto. “Il nostro invito è a collaborare per individuare e realizzare soluzioni efficaci utili a ridurre l'impatto ambientale e soddisfare le aspettative di sostenibilità”.