La fusione dei sensori per generare dati di qualità superiore

Il concetto di “sensor fusion” sta conquistando il palcoscenico del mercato della sensoristica. Perché limitarsi a utilizzare solo un sensore alla volta quanto le tecnologie moderne permettono trattare in modo intelligente i dati derivanti da fonti diverse? In talune applicazioni, il vantaggio principale di questo approccio è di ridurre l’incertezza delle informazioni complessive rispetto a quando vengono utilizzate delle fonti singole e isolate. Il termine “riduzione dell’incertezza” in questo caso può essere ricondotto indifferentemente a un maggior livello di precisione, completezza o affidabilità. I dati per un processo di fusione non sono necessariamente originati da sensori identici. A grandi linee, si può distinguere tra fusione diretta, fusione indiretta. Sostanzialmente la fusione diretta è la combinazione dei dati rilevati da una serie di sensori eterogenei o omogenei, sensori “soft” e valori storici; la fusione indiretta utilizza fonti di informazione già trattate, come la conoscenza precostituita di un ambiente o un dato inserito da un operatore. Un’ulteriore distinzione riguarda il tipo di fusione dei dati, che può essere centralizzata o decentrata. Nella fusione centralizzata, i vari client inoltrano semplicemente tutti i dati in un punto responsabile della correlazione e della fusione. Nella fusione decentrata, i vari client assumono la piena responsabilità della fusione dei dati. In questo caso, ogni sensore o piattaforma può essere considerato come un elemento intelligente dotato di un certo grado di autonomia nel processo decisionale. La gamma di sensori chiamati a concorrere a questi processi è enorme. Le grandezze rilevate possono spaziare dall’accelerazione al campo magnetico, dalle grandezze ambientali ai segnali sonar o radar, dalle immagini ai segnali audio, dalla prossimità ai parametri biologici. Il tutto viene combinato e filtrato attraverso opportuni algoritmi o reti di analisi che si occupano non solo di condizionare i segnali ma anche di correlarli tra loro al fine di interpretarli. In tale contesto, i Mems, o dispositivi micro-elettromeccanici, hanno un ruolo fondamentale, in quanto consentono di rilevare grandezze fisiche, ad esempio l’accelerazione, che una volta “fuse” permettono di realizzare applicazioni un tempo inimmaginabili. Esempio tipico sono i sistemi di posizionamento 3D i quali analizzano e integrano i dati da accelerometri e giroscopi per determinare le informazioni spaziali dell’utente. Elementi chiave di questa trasformazione sono i cosiddetti “hub”, in pratica, dei sistemi specializzati in grado di acquisire, condizionare ed elaborare i segnali provenienti dal campo in forma più o meno grezza, integrandoli con informazioni storiche o predeterminate.

Sensori per l’auto

Le applicazioni delle tecnologie di fusione sensoriale interessano tutti i settori. In campo automotive, ad esempio, l’integrazione e l’interpretazione dei segnali provenienti dal veicolo e dall’ambiente esterno hanno permesso di dar vita a piattaforme omnicomprensive rivolte all’efficienza e alla sicurezza di guida. Sulla base dei nuovi concetti di fusione sensoristica, i produttori stanno dando vita a un graduale ritorno verso le architetture centralizzate, dove dei sensori “elementari” distribuiti nella vettura si limitano a inviare i dati grezzi incondizionati a un punto di raccolta unificato. Tale approccio si concretizza in numerosi vantaggi a livello di costo, precisione, scalabilità e velocità. Un esempio di questo approccio è la piattaforma DRS360 di Mentor, una completa soluzione di guida automatizzata basata su una tecnologia innovativa che cattura, fonde e diffonde in tempo reale a un’unità centrale di elaborazione i dati grezzi provenienti da una vasta gamma di sistemi di rilevamento quali radar, lidar, unità di visione, sensori ambientali e così via. La piattaforma DRS360 offre notevoli miglioramenti in termini di riduzione della latenza, precisione di rilevamento ed efficienza complessiva di sistema. Prima soluzione di questo tipo tra le piattaforme di guida autonoma, la piattaforma utilizza innovativi “sensori a dati grezzi” che permettono di evitare duplicazioni, sovraccarichi di potenza, costi e ingombri imposti dai microcontrollori e dai relativi circuiti di elaborazione utilizzati nei nodi di sensori tradizionali. Evitando la presenza di microcontrollori di pre-elaborazione locali è possibile conseguire numerosi vantaggi, tra cui prestazioni in tempo reale, riduzione dei costi e della complessità di sistema e accesso a tutti i dati acquisiti. Ciò permette di definire un modello con risoluzione più accurata delle condizioni ambientali e di guida del veicolo. La snella architettura di trasporto dei dati della piattaforma riduce inoltre la latenza del sistema minimizzando la presenza di strutture bus, interfacce hardware e dorsali Ethernet temporizzate. Grazie alla centralizzazione dei dati generati dai sensori non filtrati, questa architettura garantisce inoltre una ridondanza adattativa e una risoluzione dinamica che contribuisce ad aumentare precisione e affidabilità. Un altro esempio di piattaforma di sensor fusion è quello di Kionix. Si tratta di un ecosistema basato su una parte hardware il cui firmware gira su un microcontrollore embedded, e su una serie di moduli software che girano su un processore applicativo. La piattaforma Kionix supporta infinite combinazioni di sensori associati per lo più alla rotazione alla traslazione (accelerometri, magnetometri e giroscopi), combinando i dati in un segnale di orientamento tridimensionale composito.

Sensori per la casa

In ambito domestico, la fusione sensoristica riguarda comfort, efficienza energetica e sicurezza. Le informazioni relative a luce, temperatura, occupazione, meteo, rumore, qualità dell’aria e così via possono essere combinate tra loro per decidere delle azioni o per determinare se si è stabilita una situazione su cui intervenire. A tale proposito Ave propone un’interfaccia domotica multisensore che consente di acquisire e gestire le informazioni provenienti da qualsiasi dispositivo. Con quest’apparecchio è possibile creare molteplici applicazioni di automazione domestica che possono risolvere i più svariati problemi legati all’abitazione. L’interfaccia Avebus, mediante due ingressi multistandard, è in grado di leggere segnali analogici in tensione, in corrente, in frequenza od on/off. Grazie al touchscreen domotico DominaPlus è possibile supervisionare l’apparecchio, visualizzando lo stato degli ingressi, oppure decidere di personalizzare il valore delle soglie per parametrizzare comandi e allarmi.

Sensori per il benessere

Uno dei settori più fertili per il sensor fusion è il wellness. In tale ambito il concetto di fusione si coniuga perfettamente con il canone di indossabilità, tipico di questi prodotti. I dispositivi più all’avanguardia riescono a rilevare e combinare informazioni di carattere fisiologico con dati storici e di posizione, offrendo un vero e proprio arsenale per controllare, convalidare e addirittura socializzare i progressi dell’attività fisica, tenendo magari conto anche dei periodi di sonno, di un’eccessiva sedentarietà o di una postura scorretta. L’ultimo modello Fitbit, denominato Alta HR, permette ad esempio il tracciamento continuo e automatico del battito cardiaco rilevato direttamente dal polso, monitorando la qualità del sonno e inviando dei promemoria di movimento che incoraggiano a raggiungere un obiettivo orario di 250 passi. La società biomedica PKvitality è andata ancora oltre proponendo lo smartwatch per fitness K-Track Glucose. Questo tracker è arricchito da un sensore, chiamato Skintaste, dotato di microaghi indolore da mezzo millimetro che penetrano nella pelle per misurare il tasso glicemico nel sangue. Un’altra versione, denominata K’Track Athlete, misura invece l’accumulo di acido lattico. In entrambi i casi le misure vengono effettuate istantaneamente. Ovviamente i due prodotti offrono anche le tradizionali funzioni di contapassi, tachimetro, conta calorie eccetera. In un contesto più ampio, fusione sensoristica ha un ruolo importante anche nel supportare le condizioni di welfare di una popolazione sempre più vecchia. A questo proposito i progetti che assistono gli utenti anziani non attraverso un controllo mirato e invadente bensì attraverso l’identificazione delle derive comportamentali della persona stanno riscuotendo ampi consensi. In pratica questi sistemi permettono di effettuare una caratterizzazione del profilo dell’utente definendo una “impronta digitale” che si basa su processi permanenti di raccolta di numerosi dati: a questo segue un’analisi di “stato” che mira a identificare le deviazioni comportamentali rispetto allo standard. Il tutto, con l’ausilio di opportune tecnologie di rilevamento dislocate su utenze, percorsi o punti strategici, ad esempio rubinetti, prese elettriche, ambienti o chiusure. Anche in questo caso il fulcro del sistema è la capacità di elaborare e correlare i dati. Esempi di marcatori di “impronta digitale” che possono segnalare un’anomalia comportamentale - quindi scatenare un promemoria o un allarme - sono ad esempio l’uso ridotto dell’acqua della doccia, la mancata apertura dello stipetto dei medicinali a una determinata ora, l’eccessiva permanenza in un’area della casa. Ciò che conta in questo contesto non è il singolo dato, bensì l’insieme delle informazioni considerate nell’ambito dell’impronta digitale.

Sensori per l’industria

Anche in campo industriale e nelle applicazioni “mission critical” le opportunità sono sconfinate. La fusione dei dati rilevati dai parametri di processo e dalle condizioni operative consente di ottimizzare l’efficienza delle risorse. In tale ambito, un aspetto chiave della fusione sensoristica è il confronto in tempo reale con scenari standard o di tendenza. Ciò consente di intervenire sulle situazioni sospette prima che si verifichino delle deviazioni catastrofiche, conseguente fermo dei processi e relativi oneri finanziari. Questa tecnica è oggetto di numerosi brevetti. Uno in particolare prevede la protezione cognitiva di un sistema di controllo industriale attraverso l’analisi di parametri primari e secondari generati da sensori IoT e l’attivazione di una segnalazione in caso di discrepanza.

Applicazioni context-aware

Nelle tecnologie di sensor fusion il paradigma IoT offre un valore aggiunto fondamentale. I tipi di nodi di rilevamento necessari per lo IoT variano notevolmente, a seconda delle applicazioni. I sensori possono includere una telecamera per il monitoraggio delle immagini, dei misuratori di portata d’acqua o di gas per applicazioni smart energy, dei radar per la sicurezza attiva, dei lettori Rfid che rilevano la presenza di un oggetto o una persona, delle chiusure con circuiti on/off che indicano eventuali intrusioni o un semplice termometro. Il tutto, accessibile e controllabile da qualsiasi punto. L’obiettivo finale della tecnologia sensor fusion rimane comunque quello di conseguire una consapevolezza contestuale, intendendo le circostanze o i fatti che costituiscono l’impostazione di un evento, una dichiarazione, una situazione o un’idea. Nell’ambito della programmazione software, l’idea di sviluppare applicazioni context-aware non è nuova. Le applicazioni connesse al contesto esaminano chi, dove, quando e cosa concorre ad esso: il progettista del software usa queste informazioni per determinare il motivo per cui una situazione sta accadendo, quindi codifica le azioni da intraprendere nell’applicazione. Sulla base di questa definizione, le quattro informazioni più importanti per formulare un’azione contestuale sono: identità, luogo, tempo, attività. Utilizzando tali informazioni per formulare un’azione deterministica, occorre stabilire delle interfacce di contesto con l’utente, con l’ambiente e con gli elementi della macchina. La consapevolezza del contesto e queste interfacce sono gli strumenti base per realizzare una varietà di servizi che altrimenti non avrebbero significato. Questo è dove i miglioramenti incrementali della tecnologia permetteranno di conseguire un valore più grande della somma delle sue parti: esattamente come avviene nella mente umana.

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