Immagini di qualità con i sensori Cmos

Uno dei segmenti di mercato nel settore dell'elettronica in costante crescita, nonostante le difficoltà della crisi globale che si trascina ormai da almeno un paio di anni, è certamente quello dei sensori di immagine Cmos. Stime recenti indicano infatti per questo segmento un tasso di crescita annuo da qui al 2017 di oltre 11 %, il che dovrebbe portare, entro, appunto, i prossimi 5 anni, a superare la quota di 11 miliardi di dollari di fatturato. Come è facile immaginarsi, il mercato relativo è trainato dal settore delle applicazioni mobile, con smartphone, tabled e camere Dsc (Digital Still Camera) in testa, avendo assorbito per circa l'80% la produzione mondiale nel 2012. In parallelo sono in crescita pure applicazioni alternative, come quelle nei settore medicali (ad esempio per sistemi di radiologia digitale), avionico (con impiego a bordo di veicoli senza pilota), dell'automazione industriale o automotive (dove cominciano a vedersi su più larga scala auto dotate di camere per assistenza alla guida e al parcheggio). Guardando all'espansione di questi settori nel prossimo futuro, stime ottimistiche sulla crescita del mercato dei sensori Cmos portano a ipotizzare addirittura un tasso medio di crescita del 30%.

La composizione del mercato
e le diverse strategie

Tra i leader del mercato vi è certamente Samsung che nel 2011 deteneva l'19% di share, seguita da Omnivision e Sony, attestate ognuna intorno al 17% e, quindi, Canon e Aptina Imaging, che detenevano complessivamente una quota pari al 20%, equamente divisa. La leadership di Samsung è evidentemente un effetto diretto della sua posizione dominante nel settore degli smartphone, dove è presente come produttore; più o meno analogamente, Ominvision beneficia della collaborazione con Apple mentre Sony è forte nel segmento dei telefoni cellulari, grazie alla disponibilità di sensori in tecnologia Bsi. In questo ultimo ambito, si osserva tuttavia una costante crescita di SETi e Galaxycore sul mercato orientale. Il settore dei dispositivi DSLR è storicamente appannaggio di Canon mentre Aptina è focalizzata maggiormente sulle applicazioni high-end, ad esempio in ambito professionale. Dal punto di vista delle linee di prodotto, Galaxycore, Omnivision e SETi sembrano principalmente concentrate su soluzioni a basso costo ed elevati volumi mentre Samsung e Sony (si veda in particolare più avanti per quanto concerne le recenti novità di quest'ultima azienda in fatto di sensori stacked) puntano su ricerca e innovazione tecnologica. In generale nel 2012 si potevano contare globalmente oltre 25 diversi player e 40 linee di sensori Cmos. La produzione appariva concentrata principalmente in Estremo Oriente con il Giappone in testa al 35%, seguito da Corea (27%) e Taiwan (24%) mentre l'Europa contava circa per il 15%.

Dalle architetture 3T a quelle 8T
La crescente diffusione dei sensori Cmos è certamente favorita dai continui progressi tecnologici del settore che, mantenendo intatti i vantaggi essenziali di questa tecnologia (in primis i costi minori di produzione, la capacità di integrazione di funzioni accessorie, il supporto per frame rate più elevati) ha consentito di ridurre nel tempo il gap di cui essa poteva soffriva rispetto alle soluzioni Ccd su certi altri aspetti (ad esempio, un più elevato rumore di fondo o una minore sensibilità nella regione infra-rossa dello spettro). Agli inizi, una delle architetture più diffuse per la realizzazione di sensori Cmos era quella a 3 transistori (3T) che prevede un transistor di selezione (Msel) per il readout del pixel, uno di switch per il trasferimento di carica (Msf) ed un terzo di reset per lo svuotamento della stessa (Mrst). Discreto fill factor, dimensioni compatte e buona efficienza di rivelazione sono i vantaggi principali di questa soluzione che soffre tuttavia di non linearità, elevato rumore di lettura e supporto per il solo rolling shutter. Il problema è in parte attenuato nelle celle 4T, grazie all'impiego di un transistor ulteriore e all'adozione di fotodiodi Pin. In questo modo è possibile implementare infatti campionamento Cds (Correlated Double Sampling) che permette di limitare il rumore e supportare funzionamento in modalità snapshot. Lo svantaggio principale resta la scarsa immunità a fenomeni di blooming. Prestazioni decisamente migliori sono state ottenute con l'architettura 5T, tuttora ancora utilizzata in diversi modelli di sensori presenti sul mercato. Il quinto transistor viene utilizzato in questo caso per controllare il tempo di esposizione e ridurre il tempo di read-out, al fine di sostenere frame rate più elevati. Interessante è stata quindi l'evoluzione successiva, indicata come 7T che, in definitiva, permette di incorporare un elemento Ccd in un sensore Cmos, raggiungendo standard piuttosto elevati sotto tutti i punti di vista, soprattutto nelle applicazioni professionali. Più di recente sono comparse architetture 8T con fino 8 transistor e che supportano global shutter, pixel di ridotte dimensioni (sotto i 4,8 µm), fill factor elevato, elevata efficienza Gse (Global Shutter Efficiency), bassi rumore e corrente di buio.

Le architetture Bsi
Altra interessante novità tecnologica che ha determinato nell'ultimo periodo notevoli miglioramenti nelle prestazioni dei sensori Cmos è stata l'introduzione, a partire dal 2009, delle architetture Bsi (Back-Side Illumination). In pratica, in un sensore Bsi i circuiti di wiring della cella vengono realizzati alle spalle (prendendo come riferimento la direzione della luce incidente) dell'elemento sensibile e non piuttosto, come accade invece nei sistemi tradizionali, interposti tra questo e la microlente. In questo modo si migliora l'efficienza di conversione, o piuttosto, da altro punto di vista, la probabilità che i fotoni incidenti raggiungano il fotodiodo; tale probabilità sale tipicamente dal 60% al 90% dal momento che il wiring non fa più da schermo. Ciò consente di ridurre il guadagno di amplificazione analogico della catena di condizionamento del segnale, riducendo nel contempo il rumore di fondo e la corrente di buio del pixel. Nel 2012, a soli tre anni dalla introduzione sul mercato, i sensori Bsi avevano raggiunto una diffusione del 25%, in crescita costante soprattutto nel settore consumer; stime recenti prevedono il raggiungimento di una quota del 70% per il 2017, con un fatturato che dovrebbe raggiungere i 7,7 miliardi di dollari. Il primo sensore Bsi fu presentato da Omnivision del 2007 ma trovò scarsa diffusione a causa dei costi elevati; del resto, ancora oggi, il processo Bsi sembrerebbe avere costi superiori di circa il 20% rispetto alla soluzione tradizionale. La prima commercializzazione su larga scala si è vista solo nel 2009, ad opera della Sony, con i sensori Exmor-R che (secondo le indicazione della casa produttrice) garantivano grazie al nuovo processo una riduzione del rumore di 2 dB e una amplificazione del segnale di 8 dB rispetto alle soluzioni tradizionali. Sony resta tutt'oggi uno dei principali produttori di sensori Bsi, ma altri vendor stanno affacciandosi su questo mercato. Nel 2012, Aptina, ad esempio ha presentato il modello AR1820HS basato sulla tecnologia proprietaria A-PixHS. Il sensore ha risoluzione di 18 Mpixel e dimensione di pixel di 1,25 µm ed è proposto per l'impiego in camere Dsc nel formato standard 1/2.3 pollici. Alla massima risoluzione, supporta frame rate fino a 24 fps ma può operare anche a più bassa risoluzione nei formati 1080p60 e 1080p120 per applicazioni di video recording. Come la maggior parte dei sensori della stessa casa, anche il AR1820HS è dotato dell'interfaccia di read-out HiSPI, il protocollo open access definito dalla Aptina per applicazioni di fast read-out (fino a 800 Mbps per lane).

Verso le architetture 3D
Come accennato inizialmente, mentre alcune case concentrano la loro strategia di mercato nella produzione di sensori a basso costo ma elevati volumi, altre puntano su una tradizione di ricerca tecnologica e innovazione. Tra queste ultime vi è certamente Sony che dopo aver prodotto, come visto, nel 2009 il primo Bsi a costi compatibili con il mercato ha recentemente annunciato il primo esempio di sensore Bsi “staked” o 3D. In questo caso  il substrato che fa tradizionalmente da sostegno alla cella del pixel (retro-illuminato) viene sostituito da un layer che integra circuiti per funzioni di signal processing. Nello specifico il sensore integra le funzionalità proprietarie di codifica Rgbw (per la produzione di immagini a più elevata qualità e più basso rumore) e la funzione Hdr (High Dynamic Range) movie (per la registrazione di fotogrammi ad elevata brillantezza anche in condizioni di elevata esposizione). Gli sviluppi di Sony puntano decisamente alle realizzazione di sensori SoC complessi, sfruttando nel prossimo futuro anche i progressi nel settore del packaging a livello di wafer. Secondo alcuni analisti soluzioni di questo tipo dovrebbero cominciare a fare capolino sul mercato a partire dal 2017.

Sensori ad elevate prestazioni
Nella direzioni del miglioramento delle prestazioni su architetture tradizionale vanno invece i seguenti prodotti. FOR-A, ad esempio, ha presentato al recente al NAB 2013 una camera che impiega un nuovo sensore (identificato con la sigla FT1-Cmos) di tipo “super 35 mm”, dotato di una risoluzione di 4096 x 2048 pixel, con dinamica di 12 bit per pixel e in grado di sostenere un frame rate fino a 900 fps! Le applicazioni sono ovviamente in ambito professionale per riprese super slow motion.
Un nuovo sensore da 35 mm full frame per applicazioni di video recording è stato presentato recentemente anche da Canon. Caratteristica fondamentale del sensore, che dispone di pixel di dimensione elevata di 19 µm2 (ovvero 7.5 volte più di quella dei sensori impiegati in camera di fascia alta della stessa azienda, come ad esempio la EOS-1X) è la capacità di operare anche in condizioni di scarsa luminosità, fino a 0.03 lux (corrispondente alla luminosità tipica di un panorama notturno illuminato dalla sola luna crescente). Il sensore Canon è in grado così di distinguere stelle di magnitudo fino a 8.5 laddove un tipico sensore Ccd, che ha un livello di percezione confrontabile con quello dell'occhio umano, non va oltre magnitudo 6 (si consideri che per ogni punto di magnitudo in più la luminosità di una stella diminuisce di un fattore circa 2,5). Grazie a queste sue caratteristiche il sensore si candida come soluzione ideale per applicazione nel campo della videosorveglianza. Risoluzione elevata è invece la caratteristica principale del sensore Leica Max, espressamente realizzato nel 2012 da Cmosis per la nuova camera Leica M presentata al Photonika 2012. Le dimensioni sono di 6000 x 4000 pixel, con pixel di 6µm di lato e con area attiva di 26 x 24 mm2 (corrispondente al già visto formato full-frame da 35 mm). La risoluzione di conversione Adc è di 14 bit per pixel mediante impiego di convertitore con architettura brevettata; il sensore dispone di roller shutter elettronico e capacità di cancellazione del rumore mediante tecniche Cds sia analogiche che digitali. Di non poco conto è il fatto che il Leica Max rappresenta il primo dispositivo a 35 mm per camere high-end prodotto in Europa e per un cliente europeo; il die è stato realizzato in particolare presso la fonderia di STMicroelectronics in Grenoble nella tecnologia IMG175 CIS su wafer da 300 mm.

La ricerca scientifica
Come sempre, spunti interessanti sulle prossime novità e sulla direzione che potrebbe prendere il mercato nel prossimo futuro si possono trovare guardando ai risultati della ricerca scientifica. La letteratura in questo ambito è, come ovvio, piuttosto ampia; di seguito ci limitiamo ad accennare brevemente ad alcuni articoli interessanti apparsi di recente.
Tra questi vi è ad esempio un lavoro (svolto in collaborazione con Sony) che ha visto la realizzazione in tecnologia 0.15 µm di un sensore con pixel con architettura a 4T, convertitore Adc per ogni singola colonna con struttura sigma-delta  e avente risoluzione di 256 x 256 pixel e frame rate massimo nativo di 120 pixel. Caratteristica innovativa del sensore è l'implementazione di tecniche di compressive sensing a bordo dello stesso, basate sulla digitalizzazione di un numero limitato di campioni per colonna, selezionati in maniera casuale. In questo modo il sensore è in grado di operare con un fattore di compressione 1/16 ad un frame rate di fino a 1920 fps! Ricercatori giapponesi dell'università di Sendai hanno invece sviluppato in tecnologia 0.18 µm un sensore da 400 x 256 pixel che mediante impiego di elementi di memoria on-chip e wiring multipli per ogni pixel è in grado di garantire un data rate in uscita di fino a 1 Tpixel/s. Questo gli consente di operare alla massima risoluzione con frame rate di 1 Mfps. La dissipazione di potenza è evidentemente elevata (fino a 24 W) ma il sensore non richiede raffreddamento attivo. Estremamente bassa (fino anche a soli 1,6 µW) è invece la dissipazione di potenza di un sensore realizzato dall'Università del Michigan, pensato per applicazioni in reti di sensori wireless con alimentazione a batteria. In generale, la riduzione di potenza dissipata può facilmente essere ottenuta mediante scaling della tensione di alimentazione ma nel caso dei sensori Cmos questo si traduce in scarsa qualità dell'immagine, in quanto peggiora significativamente il rapporto segnale-rumore. La soluzione messa a punto dai ricercatori del Michigan si basa invece sulla capacità di riconfigurazione dinamica del sensore che commuta nei modi ad elevata sensibilità o ampio range dinamico solo quando richiesto esplicitamente dall'utente o in funzione dalle variazione della luminosità ambientale.
Interessante è anche il modello di sensore realizzato dai ricercatori dell'Istituto di microelettronica di Singapore. In questo caso, a valle dei fotodiodi, sono combinati insieme i transistor per l'acquisizione dell'immagine a colori e una cella di demodulazione di un segnale time-of-flight ad elevata frequenza. Il sensore è così in grado di ricostruire l'immagine 2D della scena e nel contempo estrarre informazioni sulla profondità di questa. Il prototipo, realizzato in tecnologia 0,11 µm, ha dimensione di 712 x 496 pixel e garantisce una risoluzione nella misura della profondità che è inferiore a 60 mm su distanze tra 1 e 3 metri con errore di linearità di circa il 2%.

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