Dalla startup italiana Flow-nano nasce il progetto per aumentare le prestazioni delle batterie a flusso con nanotecnologie e anodi in vanadio, alternativa più efficiente e sicura rispetto gli ioni di litio.
La crescita delle energie rinnovabili da eolico e fotovoltaico ha reso ormai attuale la questione dello stoccaggio dell’energia prodotta in eccesso, per compensare i momenti di condizioni meno favorevoli. Una soluzione, questa, al momento legata principalmente alle tradizionali tecnologie di batterie al litio, ma non sempre però la risposta ideale.
Si tratta infatti di accumulatori pensati per altri scopi, all’insegna anche di leggerezza e praticità, non esente, tuttavia, da rischi legati alla sicurezza, ai quali vanno aggiunti i problemi nell’approvvigionamento delle materie prime e la relativa sostenibilità. Anche la possibilità di recuperare le batterie non più utilizzabili per le autovetture elettriche non va oltre all’allungarne il periodo di vita.
Una potenziale soluzione deve arrivare da una prospettiva diversa, la stessa a cui sta lavorando un’azienda italiana. “Siamo una startup votata all’innovazione – spiega Laura Giorgia Rizzi, fondatrice e CEO di Flow-nano –, rivolta allo sviluppo di elettrodi basati su nanomateriali ad altissime prestazioni”.
Al servizio appunto, di batterie stazionarie, vale a dire esattamente di quelle utili allo stoccaggio di energia, puntando sulla tecnologia a flusso. Una soluzione quindi dedicata, su un filone al momento distinto da quello sicuramente più popolare, ma anche con pretendenti più agguerriti, della mobilità elettrica.
Come altri campi di ricerca, anche le batterie a flusso sono da tempo oggetto di studio. Se la tecnologia agli ioni di litio resta la più diffusa, non significa doverla considerare necessariamente l’unica. I benefici indiscutibili sulla disponibilità degli investimenti, la filiera produttiva e il calo dei prezzi la tengono saldamente al primo posto. Dove si parla di storage di energia, però, la situazione è diversa.
Ioni di litio, una soluzione attuale, ma non universale
La velocità di reazione dell'elettrodo è il parametro operativo chiave per valutarne la convenienza. Tanto più è maggiore, più alta è la potenza di lavoro e più velocemente l’energia può essere immagazzinata nella batteria. “Il limite più importante degli ioni di litio è la durata di scarica richiesta – prosegue Rizzi –. Nel caso di accumulo da produzione eolica o fotovoltaica, bisogna invece puntare almeno a dieci ore, per arrivare a coprire l’intero ciclo giornaliero”.
Un compito diverso dalla trazione o dall’alimentazione per i dispositivi elettronici, per i quali tali batterie non sono state progettate. Si parla infatti di batterie con capacità e potenza accoppiate, dove se serve aumentare la capacità, è necessario far crescere anche la potenza nella stessa misura. In pratica, significa disporre di un tetto massimo per la scalabilità.
Poi non bisogna trascurare la questione di sicurezza. Nonostante gli sforzi compiuti dalla ricerca, il pericolo di incendi o il rilascio di gas tossici resta reale. La combustione interna, in particolare, rende eventuali incendi difficili da spegnere, soprattutto per impianti di grandi dimensioni. Nonostante i progressi degli ultimi anni, infine, anche la durata in vita può diventare un limite. In questo caso di parla di investimenti più a lungo termine rispetto a un’autovettura.

Il flusso alternativo
Si tratta dunque di una serie di problemi ai quali le batterie a flusso sono in grado di dare una risposta. “Prima di tutto, energia e potenza sono disaccoppiate, perché la capacità dipende da quanto elettrolita si mette nel sistema, dal quale dipende quindi la capacità”.
Questo perché l’elettrolita è contenuto in un serbatoio esterno, dimensionabile quindi secondo necessità o disponibilità di spazio. La potenza rimane invece collegata allo stack, l’unità di conversione al centro della batteria. Il vero beneficio in questo caso è che per aumentare la capacità basta aggiungere liquido o sostituire il serbatoio con uno più grande.
Si parla inoltre di un componente a base acqua, quindi molto più sicuro anche sotto il profilo della sicurezza, adatto per configurazioni a container impilati, con minori esigenze di spazio e collocabile anche nei centri urbani o nei pressi di abitazioni e uffici senza pericolo. Infine, si parla di sistemi il cui ciclo di vita attualmente è indicato in vent’anni, corrispondenti a ventimila cicli di carica e scarica.
Non mancano naturalmente gli svantaggi, a partire da un prezzo attualmente ancora troppo elevato rispetto alle soluzioni agli ioni di litio ma, come sempre in situazioni del genere, destinato a un rapido calo con un’auspicata diffusione sul mercato.
Si parla inoltre di soluzioni allo stato attuale sicuramente più ingombranti, e quindi non ancora adatte alla mobilità elettrica. Per quello che riguarda gli investimenti, questo è poi il limite maggiore e lo sarà ancora per qualche tempo.

La tecnologia Flow-nano per cambiare le carte in tavola
C’è però un altro aspetto importante da tenere in considerazione: la chimica delle batterie a flusso. La prospettiva è infatti quella di utilizzare elementi come il vanadio. Come confermato dalle ricerche Flow-nano, si tratta di un elemento molto adatto allo scopo, anche per impianti di diversi GW, e soprattutto molto più disponibile rispetto al litio. Si parla tra l’altro di un sottoprodotto di scarto nella raffinazione del petrolio o nella lavorazione dell’acciaio. Attualmente, solo il 20% del vanadio si ricava da estrazione e non è soggetto a usura.
Anche in questo caso, nel confronto diretto con il litio, il divario è sul costo, generalmente espresso come $/MWh. Si tratta di un costo che nelle batterie a flusso è maggiore del 30-40 % rispetto alle batterie litio, a parità di MWh; un costo in parte dovuto alla minore attenzione in materia di finanziamenti e quindi con un’evoluzione più lenta.
Il problema del costo è un aspetto dal quale Flow-nano prova a chiamarsi fuori. L’azienda ha infatti completato un round da un milione di euro, interamente sottoscritto da Tech4Planet, Polo Nazionale di Trasferimento Tecnologico di CDP Venture Capital SGR sulla Sostenibilità Ambientale.
L’obiettivo è quello di sviluppare elettrodi di nuova concezione in modo da ridurne i costi, lavorando al tempo stesso anche sulla resa. In una batteria a flusso, attualmente la spesa principale è conseguenza dell’utilizzo di elettrodi non ottimizzati. Si parla di una ossidoriduzione, dove quindi per aumentare la resa è necessario espandere la superficie. “Parliamo di elementi venduti a metro quadro e attualmente costosi. Più è bassa la densità di potenza, più dovrà essere grande lo stack e quindi la relativa spesa”.
L’obiettivo non è così lontano come può sembrare. Un sistema di stoccaggio dell’energia più sicuro ed efficiente, una valida alternativa per le tecnologie agli ioni di litio, dal punto di vista della ricerca è una realtà. La questione, adesso, è di metterla a punto quanto serve per avviare il relativo processo produttivo.
“La nostra intenzione è arrivare il prossimo anno a realizzare la prima linea di produzione e andare sul mercato nel 2027 – conclude Laura Giorgia Rizzi –. Stiamo già lavorando con alcuni potenziali clienti per ridisegnare le rispettive unità di potenza e adattarle ai nostri elettrodi. In questa fase, è importante muoversi sincronizzati”.
