Circuiti elettronici a radiofrequenza ecocompatibili

La continua miniaturizzazione dei dispositivi elettronici e la conseguente disponibilità di circuiti integrati grandi come granelli di polvere, in grado di adempiere funzioni complesse, rende praticabili soluzioni basate su elevata granularità di sistemi e sottosistemi. Primo esempio di questo sono le reti informative di tipo “meshed”, facenti capo all'ipotesi “smart dust” proposta dai laboratori di Berkeley nella seconda metà degli anni 90. L'evoluzione verso l'internet delle cose, cioè verso un mondo in cui si prevedono sempre più oggetti autonomamente collegati in rete e dotati di un crescente grado d'intelligenza e capacità decisionale, rende inoltre ancor più attraenti le soluzioni molto granulari.
Perché allora tali soluzioni non si stanno sviluppando con il prevedibile successo?
Il limite principale è dovuto alla loro eco-sostenibilità.
Da una parte, una maggiore dispersione di dispositivi e circuiti elettronici nell'ambiente implicherebbe un forte incremento dell'inquinamento da materiali non biodegradabili. Dall'altra, la diffusione “a pioggia” di sistemi elettronici dalle funzionalità complesse richiederebbe reti di alimentazione altrettanto capillari, impossibili con le attuali tecnologie connesse (“wired”) e poco realistiche anche con un massiccio impiego di trasferimento wireless dell'energia (“Wireless Power Transfer”). Le tecniche Wpt, infatti, hanno un basso rendimento se utilizzate per fornire energia a sistemi non precisamente localizzabili nello spazio e nel tempo.

Materiali ecocompatibili ed energy harvesting
Il lavoro che da circa un lustro è portato avanti dai ricercatori del DIEI presso l'High Frequency Electronics Lab (HFE-Lab) è proprio orientato a mitigare l'effetto di questi fattori frenanti. Entrando più nello specifico, si sta lavorando su tre fronti principali: lo sviluppo di circuiti e dispositivi elettronici basati su materiali ecocompatibili; la messa a punto di architetture a basso consumo energetico; l'integrazione di sistemi di raccolta energetica (“energy harvesting”) in sistemi autonomi.
Un circuito elettronico è costituito, in generale, da dispositivi e da connessioni; affinché tale insieme sia ecocompatibile, entrambi devono essere realizzati con materiali non inquinanti e possibilmente biodegradabili. Per le connessioni circuitali e più in generale di componentistica distribuita (si pensi per esempio alle antenne stampate), si stanno progressivamente sostituendo i classici materiali di supporto plastici, caratterizzati da tempi di biodegradabilità molto lunghi, con materiali quali la cellulosa (carta comune, carta fotografica, cartoni, ecc.) o le bioplastiche. Circa i dispositivi si sta sviluppando il settore dei semiconduttori e dei “semimetalli” organici (il principale dei quali è il grafene). In una prima fase lo sviluppo è stato orientato prevalentemente alla ricerca di funzionalità analoghe a quelle dei circuiti elettronici più tradizionali e alla valutazione del degrado prestazionale atteso. In quest'ambito lo studio si è concentrato sulla caratterizzazione elettromagnetica dei nuovi materiali e sulla realizzazione di sottosistemi fondamentali di ampio uso; sono state, infatti, realizzate sottoparti (mixer, oscillatore, antenna, linee di trasmissione) idonee all'assemblaggio di un “front-end” di un sensore radar (visibile nelle figure) per la rilevazione di movimento, operante alla frequenza di 24 GHz. La frequenza di lavoro e le prestazioni ottenute, in grado di garantire la funzionalità richiesta, rappresentano a tutti gli effetti un record nel settore. Tale sviluppo è stato portato avanti in buona parte nell'ambito del progetto europeo Eniac-Enlight, dedicato alla crescita tecnologica e industriale nel settore dell'illuminazione intelligente.
Come si diceva nell'introduzione, tuttavia, il valore di queste tecnologie “green” risiede soprattutto nella loro intrinseca capacità di abilitare soluzioni impraticabili con tecnologie tradizionali a bassa eco-compatibilità. Stiamo chiaramente entrando in un terreno ancora tutto da esplorare, dalle prospettive ampie e molteplici e di grande spinta motivazionale. Gli scenari ipotetici più credibili per queste tecnologie ruotano intorno alla così detta elettronica su vasta area o Wae (Wide Area Electronics). La definizione è ancora necessariamente vaga, ma alcuni elementi caratterizzanti possono essere già individuati: con Wae s'intendono quelle soluzioni tese a realizzare una specifica funzione attraverso una molteplicità di oggetti largamente distribuiti nell'ambiente, oggetti che di per sé avrebbero funzionalità ridotte e molto lontane da quella finale se non intervenisse la moltitudine e l'interazione degli stessi a produrre la funzione desiderata.

L'esempio del pavimento intelligente
Sempre per esemplificare, è in atto una collaborazione con alcuni partner europei: l'Università di Aveiro in Portogallo, il Cttc di Barcellona in Spagna e il Laas di Tolosa in Francia, finalizzata all'implementazione di strutture quali il pavimento intelligente “smart floor” e il percorso intelligente “smart path”, basati proprio su queste tecnologie. Nella figura sottostante è mostrato uno schema di “smart floor”: il pavimento contiene, annegate nelle mattonelle, delle etichette (“tag”) in grado di fornire a un eventuale interrogatore (di solito chiamato “reader”), l'informazione richiesta. Nell'ipotesi formulata il reader mobile risiede nella scarpa di una persona e a ogni passo interroga il pavimento. Il sistema è completamente autonomo: l'interrogatore è alimentato da un trasduttore piezoelettrico, mentre le etichette nel pavimento sono passive ed energizzate dal campo elettromagnetico prodotto dall'interrogatore, attraverso l'approccio “passive Rfid” di Identificazione a Radio Frequenza di tipo passivo. L'informazione fornita dalle mattonelle interrogate è riportata alla rete attraverso una classica connessione wireless, WiFi nel caso specifico. In termini generali un sistema di questo tipo rientra nella categoria “Networked Rfid” che è, al momento, una delle soluzioni tecnologiche più in voga parlando di internet delle cose. Ci preme porre l'accento sulla generalità dell'approccio: la disponibilità di etichette ecocompatibili, completamente passive e di bassissimo costo industriale, consente di distribuire le stesse su un'area molto ampia e non necessariamente vincolata a un pavimento; l'interrogatore, non necessariamente umano, è totalmente ignaro dell'ambiente circostante, ne diventa consapevole nel momento in cui interagisce con un'etichetta e riceve da questa l'informazione disponibile. Diventa difficile tenere a freno la fantasia, ma senza fare voli troppo pindarici, è facile ipotizzare evoluzioni nella direzione di una reale realtà aumentata “Augmented Reality”, del monitoraggio in aree a rischio, della creazione di percorsi assistiti di vario tipo, fino all'implementazione di catene logistiche con livello di autonomia crescente, in grado cioè di delegare parte delle decisioni agli oggetti sul posto, riducendo al contempo il traffico dati verso i server. Tutto questo, già teoricamente ipotizzabile con le tecnologie attuali, diventa praticamente sostenibile mediante l'introduzione di tecnologie eco-compatibili ed energeticamente autonome.

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