Questioni d’élite

A tre anni dal nostro ultimo incontro, con una crisi economica alle spalle e un'altra alle porte, incontrare Luciano Bonaria è quasi una necessità. Non tanto per parlare di questioni tecniche (queste le lasciamo alle rubriche dedicate), ma per riprendere argomenti di carattere generale, che ci permettono di osservare un intero comparto industriale da una prospettiva diversa dal consueto. Una prospettiva che, attraverso le parole del fondatore e presidente di SPEA, ci consente di capire quali siano i meccanismi che muovono una grande realtà industriale italiana globalizzata, presente ovunque nel mondo ma che, nel contempo, è profondamente radicata e integrata sul territorio.

Noi ci incontriamo sempre in momenti difficili, quasi drammatici...
Non direi proprio. Nonostante quello che dicono giornali e televisioni, il mondo va avanti lo stesso. Non c'è nulla di drammatico in un momento come quello attuale. È semplicemente la riproposizione di uno scenario già visto, fatto di crisi economiche che sono cicliche. Una volta, c'erano le guerre, che vedevano scontrarsi i poteri forti. Oggi, ci sono le crisi economiche. Non ci sono più i morti, ma gli effetti collaterali della speculazione si vedono nella disoccupazione, e nella contrazione dei consumi. La crisi attuale non fa eccezione. L'importante è capire quanto durerà, nient'altro.

Ottimista, come sempre.
Realista, più che ottimista. Il mio è un realismo basato sulla logica e sull'esperienza. Questa è una crisi come tutte le altre, non è diversa né sarà l'ultima. Dobbiamo imparare a convivere con queste crisi e, soprattutto, smetterla di pensare che la crisi attuale debba per forza dipendere da quella precedente, e così via. Un po' come i terremoti, i temporali o i disastri naturali in genere. Si presentano ciclicamente, ma non avvengono uno a causa dell'altro.

Quali sono le soluzioni quindi?
Come industriale, oltre che come cittadino, sono convinto che si debba fare come le formiche che si preparano all'inverno; un inverno che non si sa quanto sarà lungo o quanto sarà rigido. Vede, a partire dalla crisi del 1990, passando attraverso quelle del 2000-2001 e del 2008-2009, ho capito che l'arma vincente per superare le crisi è quella di prepararsi in tempo, creando riserve tali da preservare l'azienda per qualsiasi profondità e durata abbiano i periodi difficili in arrivo. Preservare l'azienda vuol dire che - come industriale - io ho l'obbligo di proteggere tutti i miei collaboratori. Non sia mai infatti che io perda degli addetti, sarebbe un errore professionale, oltre che personale. Gli investimenti, anche in personale, sono essenziali nei momenti difficili, così come è necessario continuare a sviluppare progetti nuovi. È questa la mia ricetta durante le crisi: preservare le persone, avere nuovi collaboratori, e lavorare quando non c'è lavoro per essere pronti alla primavera.

SPEA è un'azienda che opera su mercati internazionali, quindi la vostra visione è globale. Al momento ci sono aree in sofferenza, così come ci sono economie in crescita o, almeno, in tenuta. Per il futuro, avrete un occhio di riguardo per aree che in questo momento sono in difficoltà?
Lei ha usato il ragionamento convenzionale, secondo cui il bisogna concentrare gli sforzi sui mercati che al momento sono in contrazione. Un ragionamento del genere vale per prodotti che possono forzare l'acquisto, non vale per un settore così particolare come quello delle macchine per il test. Se l'industria di un certo Paese non ha in previsione la creazione o l'espansione di linee di produzione, a chi possiamo vendere noi le nostre macchine? La nostra particolarità produttiva ci obbliga a dirigerci là dove ci sono condizioni che agevolano la creazione o l'ampliamento di nuove aziende o di mercati preesistenti. Perché trent'anni fa, subito dopo aver fondato SPEA Italia, ho pensato di aprire un centro di distribuzione in Germania? Perché la Germania era ed è il Paese più industrializzato e che sarebbe rimasto tale. E non mi sono sbagliato.

L'internazionalizzazione aziendale è stata dunque una scelta vincente.
Il verbo “internazionalizzare” non mi piace, preferisco “globalizzare”. Internazionalizzare (come delocalizzare) implica creare centri di produzione in aree diverse da quella di origine; la globalizzazione permette invece di non avere vincoli nella commercializzazione dei prodotti, pur mantenendo inalterata la base produttiva. E questo è essenziale per un'azienda di alta tecnologia come la nostra, che corre continuamente il rischio di vedere clonati i propri prodotti. “Globalizzare” vuole dunque dire che io, in Italia, produco una macchina a un prezzo inferiore rispetto a quella della concorrenza e la vado a vendere in Corea o negli Stati Uniti, senza vincoli, senza restrizioni.

Un concetto assolutamente liberista...
Certamente sono un liberista. Io sono per un mercato libero e senza vincoli. Naturalmente il libero mercato nasconde delle insidie, ma l'importante è conoscere quali siano. Se andiamo a vedere, due sono gli elementi chiave su cui ci confrontiamo continuamente: il prezzo, che deve essere sempre più basso rispetto alla concorrenza, e la qualità, che per noi è fortemente legata all'aspetto tecnico. Si tratta di elementi strettamente legati uno all'altro. Non creda che, quando ho iniziato, io non abbia subito forti pressioni dalla concorrenza; siamo arrivati addirittura al punto da subire manovre di dumping nei confronti dei nostri prodotti. Ma alla fine l'aspetto tecnico e la qualità dei nostri prodotti ci hanno permesso non solo di sopravvivere, ma di rimanere fra i pochi sul mercato nel momento in cui si è attuato quel processo di globalizzazione che ben conosciamo.
In questo momento nel settore dell'industria elettronica siamo secondi, solo perché ci manca la Cina. Ma anche là ci arriveremo presto.

Molti hanno deciso negli anni di delocalizzare, altri di diversificare le produzioni. SPEA ha invece preferito non cambiare le sue strategie. Come mai?
Il solo fatto di essere secondi al mondo dimostra che la nostra scelta è vincente. Vede, SPEA è un'azienda high-tech estremamente anomala. Tutta la nostra filiera sta nel raggio di 40 km da dove c'è il quartier generale. Il sito cervello, il sito progetto e il sito produttivo sono qua, a fianco delle 28 aziende che fanno parte della filiera. E parlo di quasi 1000 persone coinvolte. Sicuramente intendo continuare con questo modello e continuerò così, a meno che non ci sia qualcosa che me lo impedisca.

Cioè?
Penso ad esempio a una politica anti industriale da parte della Regione o dello Stato. Il problema è che molto spesso le autorità regionali o statali non hanno idea che sul territorio sono radicate realtà come la nostra, che contribuiscono a rafforzare con costanza il tessuto dell'intero comparto industriale. E fanno poco o nulla per agevolarle.
Per le ragioni già dette, non ho nessuna intenzione di delocalizzare le produzioni, ma di continuare a crescere sul territorio, perché questa è la formula che ci ha dato successo.

E per quello che riguarda la diversificazione delle produzioni?
Vede, in un mondo globalizzato è possibile resistere solo se si è fra i primi in un certo settore, cioè nel cosiddetto Tier 1. Con la globalizzazione, solo se ci si trova in prima fila si resiste, altrimenti non si sopravvive. D'altra parte, se non si è in prima fila e si vuole sopravvivere, è necessario variare la produzione. Questo è il motivo per cui molti dei nostri concorrenti sono stati obbligati a diversificare.
Noi invece, che siamo nel Tier 1, non abbiamo bisogno di spostare i nostri interessi su altri settori da quello di nostra competenza ed eccellenza.

Sì, ma immagino che i progetti innovativi non manchino...
Certo che non mancano. Stare in prima fila impone di inventare di continuo qualcosa di nuovo. Guardi il caso dell'iPhone: il telefono con un unico bottone, bello e semplice da usare. Quel Natale in cui è uscita con l'iPhone, Apple ha sbaragliato quasi istantaneamente la concorrenza. E lo sa perché? Perché chi compra vuole solo il meglio e solo le aziende che sono in prima fila - quelle in Tier 1 - offrono i prodotti migliori sul mercato. Capisce bene che le altre aziende che rimangono, per poter sopravvivere, sono costrette a diversificare, oppure sono destinate a sparire.

Certo, ma rimanere in prima fila non deve essere un compito facile.
Non è facile per nulla, ma è una condizione necessaria. Il problema è che le aziende che sono nel Tier 1 devono rimanerci e non rischiare di uscirne, altrimenti rischiano l'eliminazione. E questo implica scelte che - in alcuni casi - non possono essere condizionate dal fattore prezzo. Aziende come Bosch o ST Microelectronics (tanto per citare due grandi realtà con cui abbiamo stretti rapporti) per rimanere loro stesse in prima linea, per non perdere cioè competitività, devono per forza avvalersi delle migliori macchine presenti sul mercato. Si devono quindi approvvigionare da quei produttori che sono anch'essi Tier 1 nel loro settore.

Si tratta, a quanto mi pare di capire, di una vera e propria élite industriale quella di cui lei mi parla. Ma il mercato d'élite non rischia di diventare un mercato ristretto e molto competitivo?
Proprio così. Le aziende Tier 1 comprano da aziende Tier 1 e così via. Certo che diventa un mercato più competitivo, ma è anche più gestibile, perché si ha a che fare solo con poche aziende di alto livello, che competono su un mercato in cui - alla fine - chi la spunta è chi ha prezzi migliori e migliore qualità. Ricordiamoci poi che operiamo su un mercato globalizzato, che non permette più di avere i profitti che si avevano in un mercato protetto, ma che - per le sue dimensioni - consente oggi di vendere molto di più che in passato.

Nel nostro precedente incontro è emersa una caratteristica tipica del suo lavoro: quella di essere sempre un po' più in là rispetto al presente. Cosa mi dice delle sue percezioni sull'immediato futuro?
Il nostro ruolo, lo si sa bene, è quello di fare un collaudo che non solo garantisca la funzionalità del dispositivo sottoposto a test nel momento in cui questo viene effettuato, ma soprattutto che lo stesso non subisca guasti in un tempo successivo alla sua messa sul mercato. Siamo di nuovo al discorso della predizione del tempo futuro e non solo per anticipare quelle che saranno le tecnologie di punta del domani. Che dire del futuro? Certo, non sembra che i prossimi mesi saranno di tutta tranquillità, ma - come ho detto in apertura - è una situazione già vista e a cui siamo preparati. Questo è il momento buono per investire su progetti futuri e di idee ne abbiamo molte, rimanere in Tier 1 è un'impresa, ma dà sicuramente le sue soddisfazioni.

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