Il brushless degli EV del futuro sarà a rotore avvolto e trasferimento induttivo della corrente di eccitazione. Vediamo come funziona e in cosa si distingue nell’elettronica di controllo rispetto a un brushless tradizionale.
C’era una volta il motore sincrono trifase, protagonista degli azionamenti di potenza nei macchinari industriali, nelle macchine utensili, negli ascensori, nelle scale mobili; avrebbe potuto diventarlo anche nella trazione elettrica, se non gli fosse stato preferito il motore trifase a magneti permanenti sullo statore. È stato così per anni, ma alcune problematiche applicative e produttive hanno evidenziato alcune debolezze dei PMSM e fatto riscoprire agli ingegneri, in cerca di un’alternativa, il “bello” dei motori tradizionali, cui è bastato un piccolo (ma non scontato) accorgimento per tornare alla ribalta.
Non è solo questione di economie aziendali e di certezza delle fonti di approvvigionamento, oppure di geopolitica: i motori elettrici per la trazione dei veicoli elettrici con rotore eccitato induttivamente e statore avvolto diverranno la prima scelta nell’automotive perché sono migliori dei brushless a magneti permanenti, praticamente sotto tutti gli aspetti e considerando ogni scenario di utilizzo; nello specifico si tratta della tecnologia I²SM (In-rotor Inductive-excited Synchronous Machine) implementata dalla ZF, che rappresenta un’importante innovazione nel settore dei motori per autotrazione.
Per comprenderlo confrontiamo tale tecnologia con quella che va attualmente di più negli EV, ossia quella dei brushless a magneti permanenti (PMSM); valutando le prerogative e le esigenze progettuali dei due diverrà evidente come non solo la “vecchia” tecnologia dei motori avvolti sia tornata in auge (opportunamente rivisitata) e sia conveniente, ma anche come si candidi a diventare la soluzione elettiva nei nuovi veicoli elettrici, anzi, anche in quelli basati su piattaforme esistenti, giacché il motore I²SM è meccanicamente intercambiabile con il corrispondente PMSM. E la sua elettronica di gestione è praticamente la stessa.
Il motore brushless trifase
In linea di principio un motore brushless PMSM è composto da uno statore (armatura) contenente un numero di avvolgimenti di filo in rame multiplo di tre e da un rotore che riporta magneti permanenti disposti lungo la circonferenza con i poli alternati l’uno all’altro, equidistanti; nel caso di tre avvolgimenti (uno per fase) e altrettanti magneti, gli elementi sono a una distanza angolare di 120° tra loro. Questo sistema permette di evitare il collettore e le spazzole, responsabili delle perdite elettriche e di attrito che comportano nei motori a rotore avvolto, nonché maggiore durata perché privo di elementi soggetti a usura come le spazzole. La composizione del motore siffatto è proposta nella Figura 1, nella quale si vede un trifase a magneti permanenti utilizzato da Audi e dotato di frizione di accoppiamento.

Questo motore richiede una sola alimentazione ed ha un’elevata efficienza perché non richiede corrente di eccitazione, in quanto il campo rotorico è creato dai magneti permanenti.
Gli avvolgimenti statorici si alimentano a corrente alternata trifase, oppure ad impulsi unidirezionali; i tre avvolgimenti dello statore vengono alimentati a stella (tre fili più il comune dei tre avvolgimenti) o a triangolo (tre soli fili) secondo una sequenza tale da generare un campo elettromagnetico rotante. Allo scopo gli impulsi si avvicendano secondo una precisa sequenza, cioè sono applicati, nell’ordine di successione degli avvolgimenti delle tre fasi, con un ritardo che rapportato al giro è 120°. Con questa soluzione, la velocità di rotazione del rotore è determinata dalla frequenza degli impulsi e, sempre, dal numero di espansioni polari contenute nel rotore; per l’esattezza è multipla del numero di espansioni polari; quindi, un motore con tre poli al rotore ha una velocità v, uno con sei espansioni ha velocità pari a 2v e via di seguito.
Sotto l’aspetto della gestione elettronica, il brushless in continua richiede tre serie di impulsi applicati nell’opportuna sequenza ai tre terminali di cui dispone; la sequenza prevede che ogni avvolgimento riceva un impulso di comando dopo che quello che lo precede nel senso di rotazione è stato alimentato e quindi privato dell’alimentazione; invertendo la sequenza di comando, si cambia il verso di rotazione.
Il pilotaggio di questi motori si effettua fornendo agli avvolgimenti impulsi di tensione modulati PWM sfasati di 120 gradi, in modo da far “scorrere” il campo lungo la circonferenza dello statore e trascinare il rotore, la cui polarità è fissa, in movimento: variando la frequenza cambia la velocità di rotazione, mentre intervenendo sulla larghezza degli impulsi si varia la potenza e con essa la coppia del motore. Un esempio di questo tipo di controllo viene offerto dalla Figura 2.

Nel caso del controllo trifase in alternata, si può adottare la parzializzazione d’onda per garantire la variazione della potenza. Comunque sia, la gestione è elettronica e viene affidata a un inverter con stadio di potenza a MOSFET SiC, operante tipicamente a 400 o 800 V.
In tutti i casi è applicabile lo schema generale di controllo motore proposto dalla Figura 3, caratteristico di un’auto elettrica.

Sotto l’aspetto meccanico, il PMSM presenta il difetto di tutti i motori a magneti permanenti, ossia quando viene privato dell’alimentazione oppone resistenza (dev’essere trascinato) dovuta all’interazione tra i magneti e i poli salienti dello statore; ciò significa che in rilascio, in un EV sottrae parte dell’energia cinetica che il KERS trasforma in ricarica della batteria. Inoltre, nelle vetture con un assale elettrico inseribile all’occorrenza, richiede un distacco meccanico (ad esempio un giunto Ferguson o Haldex o una frizione elettromagnetica a polvere), pesante, costoso e ingombrante, altrimenti quando al motore viene tolta tensione, viene trascinato e sottrae potenza.
Il motore brushless magnet-free
Il motore ZF è invece un variante di quello che anche solo qualche decennio fa, negli azionamenti di potenza, era considerato il motore elettrico in alternata per eccellenza: quello sincrono trifase a rotore e statore avvolto (Figura 4). La sola differenza è che la corrente necessaria a sviluppare il campo di eccitazione nel rotore non viene trasferita tramite contatto strisciante (spazzole) ma con un accoppiamento induttivo. Di fatto questo motore è un brushless (seppure in una forma inconsueta) con collettore ad anelli, nel quale il rotore sviluppa un campo magnetico solo quando eccitato e non presenta induzione residua, se non quella inevitabile in qualsiasi materiale ferromagnetico precedentemente esposto a un campo elettromagnetico.

Per poter essere impiegato nell’autotrazione al pari di un comune brushless PMSM, il motore a rotore avvolto doveva superare due ostacoli: l’alta densità di flusso magnetico richiesta per avere le elevate densità di potenza indispensabili nei veicoli elettrici, specialmente in quelli ibridi che hanno meno spazio a disposizione per collocare i motori; funzionare con la minima usura possibile, ossia senza le spazzole e il collettore ad anelli che servirebbero a portare la corrente di eccitazione al rotore.
L’alta densità di flusso si ottiene come per i brushless, ossia adottando nello statore la tecnica di avvolgimento hairpin; nel rotore si adottano avvolgimenti ad elevata densità, la cui corrente perviene grazie ad un sistema di accoppiamento induttivo capace di trasferire correnti di eccitazione fino a 40 A e potenze anche di 10 kW!
L’accoppiamento induttivo supera l’ostacolo dell’usura perché non ne ha e perché rispetto alla soluzione spazzole + collettore ad anelli trasferisce più potenza, quanta ne basta a sviluppare nel rotore campi elettromagnetici la cui intensità è paragonabile a quella dei più potenti magneti permanenti.
La tecnologia di trasferimento induttivo è simile alla ricarica Qi, ma progettata per potenze maggiori; nello specifico, quella sviluppata da ZF e chiamata I²SM si avvale di un trasmettitore solidale con lo statore, il quale pilota una bobina su nucleo in ferrite avvolta sull’asse del rotore, oltre che di una bobina coassiale a questa, ma realizzata con diametro maggiore in modo da avvolgerla ma senza toccarla. Questa bobina è la ricevente e i suoi estremi, attraverso un circuito raddrizzatore ed un regolatore di corrente, alimenta gli avvolgimenti statorici; la bobina ricevente ruota su quella trasmittente, in quanto è solidale con il rotore.
L’elettronica di trasferimento induttivo è ben descritta dalla Figura 5, dove la parte Stator è collocata sulla cassa del motore e quella Rotor è contenuta in un involucro che ruota insieme al rotore; Rotary Transformer è il complesso formato dalle bobine trasmittente (interna) e ricevente (esterna) che risultano coassiali tra loro in modo che quella rotante avvolga completamente quella fissa. Di fatto l’accoppiamento costituisce un trasformatore in aria, il cui avvolgimento primario è fisso sullo statore e quello secondario ruota insieme al rotore, garantendo un trasferimento ottimale fino a 20.000 giri/min.

La bobina trasmittente (irradiante) viene alimentata da un ponte ad H a MOSFET che la pilota in alternata, dopodiché a valle della ricevente si trova un ponte di Graetz che ricava corrente continua per gli avvolgimenti rotorici.
Relativamente all’elettronica di gestione del motore, lo schema concettuale è lo stesso di Figura 3, con la sola differenza che il gruppo di trasferimento induttivo implica la presenza di una “fase” aggiuntiva, nel senso che se un PMSM richiede un controller con tre uscite, qui ce n’è una quarta che alimenta l’elettronica trasmittente (Figura 6).

A fronte di una maggiore complessità, questo motore meccanicamente presenta dei vantaggi, che possono essere così riassunti:
- perdite di trascinamento “magnetiche” praticamente nulle, quindi se viene montato su un assale può essere disinserito semplicemente togliendogli alimentazione (non serve meccanismo di distacco);
- compattezza pari ad un brushless a magneti permanenti, quindi nessun ingombro in più, dato che il complesso trasmittente-ricevente scompare nell’albero del rotore (Figura 7);
- possibilità di raffreddare a olio il motore, esattamente come un PMSM, anzi, siccome il complesso induttivo rotante è ermetico e in involucro metallico, la sua elettronica viene anch’essa raffreddata dallo stesso liquido;
- semplicità costruttiva.

PMSM e I²SM a confronto
L’utilizzo di un motore con rotore avvolto al posto di uno a magneti permanenti è vantaggioso sotto molti aspetti: oltre ai costi inferiori e all’indipendenza dall’approvvigionamento dei materiali (non richiede “terre rare”) ci si può soffermare su aspetti come l’efficienza complessiva, dato che rispetto a un PMSM, sebbene richieda una corrente di eccitazione, ha un consumo molto basso a parità di potenza sull’albero. Inoltre se consideriamo che quando è spento non “frena” come farebbe un PMSM, valutando un ciclo di funzionamento misto, possiamo vedere che l’efficienza è ancora più alta. Tale vantaggio diventa ancor più evidente e rilevante nei veicoli a più assi trattivi dove il conducente può disattivare un asse per avere una trazione 2WD: il PMSM dev’essere disconnesso perché altrimenti frena il veicolo, mentre l’I²SM non oppone resistenza al trascinamento.
Sotto l’aspetto dell’efficienza, nel ciclo WTLP l’I²SM è paragonabile a un PSM. Inoltre, la soluzione ZF è più performante ed efficiente in autostrada, soprattutto a velocità elevate (fino al 15%) dato che siccome non ha magneti permanenti, non è necessario operare l’indebolimento del campo richiesto invece dai PMSM, il che porta a ottenere coppie più elevate agli alti regimi di giri. Il concetto appare chiaro con il grafico di Figura 8, nel quale in blu è proposta la coppia (T) di un motore a magneti permanenti, che crolla al salire dei giri, mentre in verde si vede l’andamento della coppia dell’I²SM; per aumentare la coppia, nel PMSM occorre incrementare l’energia fornita allo statore per correggere l’effetto del rotore, cosa non necessaria nell’I²SM perché si può operare sulla corrente rotorica.

Il motore I²SM ha quindi tutti i vantaggi di una macchina sincrona avvolta. Inoltre, grazie al trasformatore induttivo integrato, è possibile trasferire fino a 40 A di corrente. Questo aumenta la libertà di progettazione dell’avvolgimento di eccitazione, perché in una configurazione analoga, i sistemi a spazzole potrebbero trasferire al massimo 25 A. Inoltre, i sistemi di eccitazione a spazzole soffrono dell’attrito delle spazzole sul collettore e sulle guarnizioni aggiuntive necessarie per proteggerle dall’olio di raffreddamento e lubrificazione.