L’intelligenza nelle reti

La necessità di ridurre le emissioni nocive derivanti dalla produzione di energia elettrica da carbone e petrolio con il crescente peso delle fonti non rinnovabili, la possibilità di realizzare reti di distribuzione più affidabili in grado di sopravvivere anche ad eventi catastrofici, la necessità di assicurare la copertura di estese aree rurali soprattutto nei paesi in via di sviluppo, le indubbie potenzialità in termini occupazionali che ne derivano, hanno contribuito a far crescere nell'ultimo periodo l'interesse verso tecnologie ed applicazioni delle Smart Grid. Diverse sono state le iniziative nel corso degli ultimi anni, sia nell'ambito della ricerca che delle applicazioni reali (tra le altre possiamo ricordare, ad esempio, Intelligrid, Modern Grid Initiative, Grid 2030, GridWise, Telegestore, Moma e InovGrid), a testimonianza di un mercato che, lungi dall'essere ancora maturo, produce già un fatturato di 33 bilioni di dollari e che promette di crescere, da qui al 2020, ad un tasso annuo del 10%. Una ricerca pubblicata nel 2012 dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano ha provato a fare il punto della situazione in Italia. Quello che emerge è purtroppo, come al solito, un empasse che ci vede in ritardo significativo rispetto ad altri Paesi, anche in ambito europeo. Eppure il nostro Paese ha visto negli ultimi anni una significativa crescita (secondo alcuni, però, drogata dagli incentivi statali) delle fonti rinnovabili come eolico e fotovoltaico (cresciute fino a coprire il 7% della produzione nazionale) e deve necessariamente puntare a risolvere il problema della rischiosa dipendenza da fonti estere (secondo dati GSE, infatti, nel 2010 l'Italia importava ancora dall'estero oltre il 13% dell'energia elettrica impiegata sul proprio territorio).

L'esempio degli smart inverter
Per capire quale è lo scenario in Italia secondo la fotografia che ne ha tracciato il report del Politecnico di Milano citato in precedenza, prendiamo ad esempio il settore degli smart inverter. Si tratta di inverter di potenza del tutto simili a quelli tradizionali, ma dotati in aggiunta di intelligenza locale e capacità di comunicazione standard al fine di consentire, tra l'altro, la limitazione della potenza immessa in rete in funzione delle variazioni della tensioni di rete misurata, l'assorbimento della energia reattiva, l'automazione degli interventi di manutenzione e distacco degli impianti di produzione. Nel caso preso ad esempio degli smart inverter, il mercato (attraverso i principali produttori come Danfoss, Power-One, Siemens ed altri) rende già disponibili le soluzioni tecnologiche necessarie alla implementazione di tali soluzioni. Tuttavia l'adozione di smart inverter non è economicamente conveniente per i titolari di impianti, ma deve piuttosto essere imposta dalla normativa vigente. Mentre in Germania tale imposizione è in vigore già dal 2010 per quanto concerne le connessioni in media tensione e dal 2011 per quelle in bassa tensione, l'obbligo è stato introdotto in Italia per solo quest'ultime e solo a partire dal luglio 2012. La portata del provvedimento è però ancor di più limitata dal fatto che in realtà, nel nostro paese, circa il 75% degli impianti FER sono connessi invece in media tensione. Eppure l'adozione di smart inverter è prerequisito essenziale per l'attuazione di soluzioni, ad esempio, di Demand Response Management Systems (DRMS), ovvero quei sistemi informativi che raccogliendo informazioni dai punti diversi punti della rete permettono di determinare il carico ottimale, ottimizzando la distribuzione dell'energia agli utilizzatori e riducendo gli sprechi. Vista la situazione nel settore degli smart inverter, non è un caso, quindi, che la diffusione di soluzioni DRMS sia praticamente nulla in Italia, sebbene ancora una volta le tecnologie necessarie risultino presenti sul mercato. Secondo lo studio del Politecnico di Milano citato in precedenza, considerazioni più o meno analoghe valgono anche per altri settori delle smart grid, come ad esempio, i sistemi di ottimizzazione degli asset, i Distribution Layer System (sistemi atti alla ottimizzazione della distribuzione di energia) o i sistemi di immagazzinamento della energia.

Il monitoraggio della rete
All'avanguardia sembra essere invece lo stato delle cose nel settore dei Transmission Layer Systems, ovvero quei sistemi hardware/software demandati al monitoraggio delle rete e delle sottostazioni e alla gestione automatizzata degli interventi di manutenzione. In questo caso oltre il 90% della rete nazionale è coperta, grazie anche agli investimenti di potenziamento (per un valore complessivo di 5 miliardi di euro tra il 2006 ed il 2011) messi in campo da Terna. Il risultato più evidente è una riduzione dei costi di dispacciamento dell'energia pari a circa 1 miliardo di euro all'anno. Interlocutorio è al contrario lo scenario per quanto concerne la funzionalità di smart metering della rete. In questo ambito, il progetto Telegestore avviato da Enel nel 2010 ci aveva consentito di raggiungere una condizione di tutto rilievo, con oltre 32 milioni di contatoti elettronici installati e una riduzione per l'ente dei costi operativi (rispetto alla spesa registrata nel 2001) di oltre 900 milioni di euro all'anno. Il problema però è che per l'implementazione di smart grid servono funzionalità addizionali (come capacità di previsione locale, di gestione delle tariffe multi-orarie o di comunicazione con un vero e proprio sistema di Home Management) che sono oggi assenti. Il progetto Smart Info attivato da Enel nel 2010 dovrebbe andare nella direzione di colmare tale lacune; l'obiettivo per il 2015, ad esempio, è rendere accessibili a dispositivi diversi come PC ed elettrodomestici le informazioni di consumo e di mercato.

Un settore in attesa di investimenti
Nonostante le difficoltà segnalate, il settore delle smart grid sembra comunque poter rappresentare per il nostro paese un segmento di mercato interessante. Servono, come al solito, investimenti. I ricercatori del Politecnico di Milano, analizzando diversi scenari, hanno ipotizzato, nelle condizioni più probabili, una necessità di investimenti da qui al 2020 di circa 30 miliardi di euro. Il problema è individuare i driver che giustifichino e incentivino tali investimenti. Uno di questi può certamente essere la riduzione delle inefficienze della nostra rete che ci consentirebbe una riduzione dei costi diretti pari a, fino al 2020, oltre 5 miliardi di euro (senza contare i benefici indiretti che ne deriverebbero) e che rimarrebbe poi anche oltre quella data. Della necessità di ridurre la nostra dipendenza dalla importazione di energia dall'estero si è già detto, come pure della importanza dell'aspetto normativo come spinta all'adozione di nuove tecnologie necessarie per l'ammodernamento della rete e la migrazione verso architetture “smart” ma non economicamente vantaggiose per chi deve metterle in atto. Visto lo squilibrio attuale, la transizione 'smart' non potrà che passare, appunto, attraverso nuove normative che impongano condizioni di fornitura del servizio ma nel contempo definiscano nuovi paradigmi di sharing di costi e ritorni tra fornitori e utilizzatori al fine di distribuire equamente i benefici tra tutti. Ancora una volta, sia dal punto di vista economico che tecnologico, l'Italia si trova ad affrontare una sfida interessante e promettente. Speriamo non sia un'altra occasione perduta.

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