Le potenzialità del distretto biomedicale di Mirandola

Le potenzialità di sviluppo dell'elettronica italiana dipendono in larga misura dall'andamento di quei settori applicativi del Made in Italy che impiegano tecnologie di controllo elettronico e che, grazie a un ruolo di rilievo internazionale, esportano percentuali significative della loro produzione. Questo identikit si adatta perfettamente anche al settore biomedicale italiano, particolarmente sviluppato nella zona di Mirandola (provincia di Modena). Vediamo quindi, in breve, le caratteristiche di questo comparto, che condivide - almeno in parte - la natura dei tipici “distretti produttivi” italiani.

Dalla plastica ai sistemi più sofisticati
Anche la storia del distretto biomedicale di Mirandola inizia in un garage, come molte delle vicende che riguardano la ben più nota Silicon Valley. Si tratta in questo caso dell'autorimessa di Mario Veronesi, ex rappresentante di medicinali ed ex farmacista, che all'inizio degli anni sessanta intraprese la produzione di articoli monouso in plastica per gli ospedali. Dal garage di Mirandola nacquero nel 1962 la società Miraset e nel 1964 la Sterilplast, le aziende capostipite del distretto biomedicale. Successivamente Sterilplast assunse il nome di Dasco (Divisione Apparecchi Scientifici Ospedalieri) e al suo interno si iniziarono a produrre reni artificiali. Da questa prima impresa nacquero poi numerosi spin off, tra cui Bellco, Dideco e Dar. Il distretto mirandolese ha quindi la propria origine nella lavorazione della plastica; ancora oggi, molte delle aziende che ne fanno parte producono articoli monouso in plastica per gli ospedali. Ovviamente, dal nostro punto di vista, le aziende più interessanti del distretto sono però quelle che producono apparati biomedicali completi.

Il distretto oggi
Oggi il distretto biomedicale di Mirandola comprende anche altri comuni limitrofi (Medolla, Concordia, Cavezzo, San Felice sul Panaro, San Possidonio, San Prospero) e conta un centinaio di imprese, che complessivamente occupano circa quattromila addetti e generano un fatturato di 800 milioni di euro (fonte: Il Sole 24 Ore). Come abbiamo visto, inizialmente il comparto si è sviluppato secondo le modalità tipiche dei distretti industriali italiani, cioè a partire da un'azienda capostipite che ha generato numerosi spin off. Per altri aspetti, tuttavia, l'evoluzione del polo mirandolese è stata diversa da quella di altri distretti produttivi. La peculiarità consiste nel fatto che, già da molti anni, alcune delle principali aziende della zona sono entrate a far parte di grandi gruppi internazionali del settore medicale. Ciò vale per almeno quattro delle più consistenti realtà mirandolesi: Gambro, B. Braun Avitum, Covidien e Fresenius. Si tratta di un assetto completamente diverso da quello, ad esempio, del distretto bolognese delle macchine di packaging, dove anche le realtà più grandi conservano tuttora la loro indipendenza e spesso anche la natura di “aziende di famiglia”. La forte presenza di realtà internazionali a Mirandola si spiega probabilmente con le particolari caratteristiche del mercato sanitario. E' interessante osservare, comunque, che l'ingresso dei grandi gruppi internazionali non ha provocato uno “svuotamento” del distretto mirandolese; le aziende, anzi, rimangono fortemente legate al territorio, dove trovano valide competenze professionali.

La capitale dell'emodialisi
Quattro delle principali aziende del distretto biomedicale mirandolese (lasciando da parte gli articoli monouso in plastica) sono attive soprattutto nel settore dell'emodialisi e affini. Si tratta di Gambro, Bellco, Fresenius HemoCare Italia e B. Braun Avitum. Vediamo quindi, in breve, alcuni dati riguardanti queste realtà. Lo stabilimento di Gambro a Medolla, erede diretto della capostipite Miraset, è entrato a far parte del gruppo omonimo nel 1987. Recentemente l'intero gruppo Gambro è stato acquisito dal gruppo statunitense Baxter. La società Bellco, fondata quarant'anni fa, non appartiene a gruppi multinazionali e occupa circa 340 addetti, di cui oltre 240 a Mirandola (i restanti nello stabilimento produttivo di Tolosa e nelle filiali estere). Fresenius HemoCare Italia di Cavezzo, che produce dispositivi per la filtrazione del sangue, fa parte del grande gruppo tedesco Fresenius (150.000 dipendenti). Anche B. Braun Avitum di Mirandola appartiene a un grande gruppo tedesco: B. Braun, 46.000 dipendenti. Produce invece apparati cardiopolmonari lo stabilimento mirandolese di Sorin Group Italia, società internazionale che ha la sua sede centrale a Milano.

Il terremoto del 2012
Il distretto biomedicale mirandolese è stato colpito molto duramente dai due terremoti del maggio 2012, che hanno distrutto numerosi edifici nei comuni di Cavezzo, Medolla e nella stessa Mirandola. In una delle aziende del settore, la Haemotronic di Medolla, il crollo di un capannone ha purtroppo causato quattro vittime; nell'intera zona, inoltre, l'attività produttiva ha ovviamente subito un arresto a causa dei danni alle strutture. Il recupero, tuttavia, è stato decisamente rapido e i siti danneggiati o provvisori hanno già lasciato il posto a nuovi capannoni. Secondo quanto riferisce Il Sole 24 Ore, B. Braun Avitum ha inaugurato a inizio marzo 2013 tremila metri quadri di stabilimento ricostruiti ex novo, mentre l'attività di Bellco - dodicimila metri quadri di fabbrica distrutti - è ripartita già a settembre 2012. Ripresa veloce anche per Sorin, nonostante il forte calo di fatturato dovuto al sisma; mentre Gambro, pur con i rallentamenti dovuti all'acquisizione da parte di Baxter (il via libera dell'Antitrust è atteso entro l'estate), sta portando avanti un progetto da 35 milioni di euro per riavviare uno stabilimento di trentatremila metri quadri a Medolla. Il distretto biomedicale di Mirandola, quindi, ha dato prova di grande vitalità e continua a rappresentare un fattore di sviluppo importante. La Regione Emilia-Romagna, dal canto suo, intende contribuire al consolidamento della ripresa post-sisma sostenendo la creazione di un nuovo tecnopolo dedicato al biomedicale, alla ricerca e, in particolare, alle nanotecnologie. La struttura dovrebbe nascere a Mirandola entro il 2014.

Un modello interessante
Uno degli aspetti più interessanti del “modello Mirandola” è probabilmente il ruolo dei grandi gruppi internazionali che hanno acquisito le aziende autoctone. Queste acquisizioni, infatti, non hanno provocato un impoverimento del tessuto economico locale; si potrebbe anzi affermare che il distretto si sia arricchito di nuove competenze, se è vero che generalmente le grandi aziende sono portatrici di una cultura imprenditoriale evoluta e moderna. Un'ibridazione di questo tipo avrebbe effetti positivi, probabilmente, anche in altri distretti industriali italiani, quelli in cui tuttora il management viene selezionato in base ai legami di parentela. Data la scarsità di grandi gruppi industriali italiani in grado di assumere un ruolo attivo nei processi internazionali di concentrazione, è meglio - probabilmente - che le nostre aziende più qualificate entrino a far parte di gruppi esteri, piuttosto che continuare a coltivare l'illusione del “piccolo è bello”. In ogni caso, il distretto biomedicale di Mirandola rappresenta un'opportunità interessante per l'elettronica italiana e vale senz'altro la pena lavorare per massimizzare il suo indotto.

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