Fare innovazione in Italia è possibile, così come è possibile produrre alta tecnologia nel nostro Paese. È questo, in estrema sintesi, il pensiero di Aldo Romano, intervistato da Pierantonio Palerma sul tema dell’innovazione in occasione dell’Innovation Award Gala, la serata di premiazione dei prodotti elettronici più innovativi. Nato a Genova nel 1940, laureato nel 1963 con lode in ingegneria elettronica all’Università di Padova, Romano è entrato nel 1965 in SGS Microelettronica come progettista di circuiti integrati lineari, partecipando al lavoro pionieristico di progettazione di circuiti integrati di potenza e creando personalmente molti prodotti di successo. Diventato poi responsabile del marketing di prodotto, ha assunto la carica di direttore della divisione Circuiti Integrati Bipolari, successivamente identificata come Gruppi Tpa (Telecomunicazioni, Periferiche per computer & Automotive). Sotto la guida di Romano, la tecnologia dei circuiti integrati dedicati e il know-how di sistema capitalizzati dai Gruppi TPA sono stati impiegati con successo nella progettazione e produzione di numerosi dispositivi innovativi. Nel 1991 Aldo Romano ha assunto la carica di Amministratore Delegato di Sgs-Thomson Microelectronics, consociata italiana del gruppo guidato da Pasquale Pistorio, diventata poi STMicroelectronics nel 1998, società di cui diviene anche Presidente nel 2006. Romano, che ha lasciato ST lo scorso aprile, dopo 47 anni trascorsi in azienda e due mandati triennali come presidente e amministratore delegato, ha spiegato come sia ancora possibile fare innovazione in Italia, come nei processi d'innovazione sia fondamentale il ruolo della produzione, illustrando il concetto di partnership strategica con il cliente e presentando casi concreti e di successo come esempio di innovazione nata in Italia.
È possibile fare innovazione in Italia e come si crea un ecosistema favorevole?
Non solo è possibile fare innovazione in Italia, ma è doveroso farlo, perché l’Italia ha tutte le carte in regola. Posso ad esempio citare l’eccellenza della nostra accademia, la disponibilità di ragazzi svegli e pronti a rimboccarsi le maniche, l’esistenza di un bagaglio di know-how invidiabile che fa la differenza, rispetto ai Paesi emergenti dell’estremo oriente. Un patrimonio che dobbiamo riuscire a sfruttare. A dimostrazione il fatto che l’Italia continui a essere un fattore chiave per il successo di tutta la ST. Nel nostro Paese abbiamo un polo fortemente integrato di produzione e ricerca, che sa sfruttare il vantaggio della vicinanza fisica tra la fabbrica e chi si occupa di sviluppo. Lo stretto connubio tra innovazione e produzione ha dato frutti tangibili. In Lombardia abbiamo gli esempi di eccellenza dei Mems e dei dispositivi per l’automobile; in Sicilia, i componenti per l’automobile e quelli per le applicazioni industriali.
La produzione riveste quindi un ruolo fondamentale nei processi di innovazione?
L’innovazione si gestisce solo se tra progettazione e produzione c’è uno stretto legame. Non è sufficiente progettare, bisogna anche sapere produrre in modo competitivo per far sì che il prodotto abbia un senso e diventi vincente sul mercato. La fase di industrializzazione dei prodotti è determinante, anche per il prezioso feedback che ritorna al mondo della progettazione. E poi una grande economia non può vivere solo di ricerca e sviluppo, serve anche il lato manifatturiero. Credo molto in questa formula vincente: la ricerca deve definire i prodotti sofisticati che ci fanno conquistare un vantaggio competitivo nei mercati di riferimento. Le risorse manifatturiere più avanzate ed evolute delle nostre fabbriche italiane devono girare a pieno ritmo, sfornando i prodotti più complessi e alimentando la nostra capacità di innovazione. Le tecnologie strategiche devono continuare a essere prodotte per molto tempo in stabilimenti vicini ai team di sviluppo.
Cosa significa fare innovazione nel mondo dei semiconduttori?
Nella nostra industria, come spiega la legge di Moore, la complessità della tecnologia cresce da sempre in modo esponenziale e pertanto la partita si gioca sul fronte della conoscenza. Per questo oggi le grandi aziende tentano di acquisire quelle piccole, non per il loro business ma per il know-how tecnologico. Si arriva anche a realizzare alleanze tra aziende concorrenti per disegnare chip, per cumulare know-how e trarne vantaggi. Ma la conseguenza fondamentale dell’evoluzione della tecnologia è l’altissimo livello di integrazione e la conseguente necessità di disporre di know-how di sistema. Per questo diventa sempre più importante sapere lavorare con i propri clienti, coinvolgendoli nei processi di progettazione e design, creando con loro delle alleanze strategiche.
Alleanze che sono quindi un fattore determinante del successo di ST…
Abbiamo saputo elevare il concetto di partnership con il cliente al concetto di vera e propria alleanza strategica. Si tratta di una strategia che Pistorio, a partire dagli anni ’90, ha elevato a livello di strategia aziendale, e che per quindici anni è stata uno dei punti di forza della nostra società. Abbiamo realizzato, e le abbiamo anche mantenute negli anni, alleanze strategiche con le più grandi e le più innovative società mondiali di elettronica: Bosch e Nippon Denso nel settore automotive, Nokia, Alcatel e Northern Telecom nel telecom, Thomson e Pioneer nel consumer, Hewlett Packard, Seagate e Western Digital nel computer. Queste alleanze ci hanno permesso di raggiungere crescite strabilianti, con medie annue anche superiori al venti per cento, hanno fatto sì che ST potesse diventare un’azienda di grandi dimensioni, e hanno quindi decretato una parte fondamentale del nostro successo.
Anche l’intuizione e la capacità di guardare oltre ha avuto un ruolo importante…
Certamente. Un esempio interessante di intuizione che si è rivelata vincente risale ai primi anni 90, quando eravamo ancora bel lontani dalla rivoluzione digitale. Avevamo intuito, osservando i calcolatori, che prima o poi sarebbe stato indispensabile trasferire oltre ai dati anche i segnali video. Abbiamo quindi incominciato a lavorare, in tempi preistorici, a quello che chiamavamo “image processing”, pensando a come ridurre l’occupazione di banda e come comprimere e poi decomprimere il segnale, realizzando, in collaborazione con il centro ricerca avanzate di Apple, che già allora manifestava grande volontà di innovazione, il primo chipset dedicato alla decodifica, l’Mpeg2. Con questo know-how siamo andati a trovare un cliente, l’americana RCA, e per caso abbiamo scoperto che avevano in avanzato stadio di sviluppo una fantastica applicazione che si chiamava televisione satellitare. E noi avevamo il know-how per loro indispensabile per poter svolgere questa applicazione. Così, anche se con molta fatica, li abbiamo convinti a lavorare con noi, ponendo le basi per la televisione digitale del futuro.