Il fenomeno Esd

Il fenomeno dell'accumulo delle cariche elettrostatiche si verifica in ogni occasione in cui materiali isolanti vengono in contatto o si separano, provocando uno scambio di elettroni attraverso la superficie.  Certi materiali hanno maggiore inclinazione ad accumulare cariche che non altri, tra questi  alcuni sono più portati a rilasciare elettroni e quindi a caricarsi positivamente, altri ad accumulare elettroni e quindi a caricarsi negativamente.
Questo fenomeno è comunque legato a un movimento relativo e al contatto  tra due oggetti con caratteristiche isolanti.
L'accumulo di cariche elettrostatiche può avvenire anche per induzione.
L'accumulo di cariche elettrostatiche avviene più facilmente negli ambienti a basso tasso di umidità, ma in generale dovunque non sia assicurata una buona messa a terra di impianti e strutture, come nel caso dei banchi di lavoro.
Le cariche elettrostatiche sono invisibili e silenziose, questo porta tanti operatori a sottovalutarne la portata. La prima precauzione è quindi l'assunzione di responsabilità nel prendere la decisione di eseguire un'attenta valutazione del rischio elettrostatico all'interno del proprio processo o delle aree operative nel caso di un laboratorio. Durante la valutazione vanno presi in esame tanto i sistemi coinvolti quanto il tipo e la natura dei  materiali utilizzati, così come le condizioni ambientali.
Saper valutare in ogni situazione la causa e l'entità dei potenziali problemi è molto importante al fine di poter optare perla giusta misura di prevenzione prima e di protezione poi, per minimizzare l'entità del rischio.
L'eliminazione totale delle cariche elettrostatiche è praticamente impossibile, ma è percorribile il poterle portarle a un livello così basso da renderle inoffensive.
Nel corso degli anni, con l'aumento del livello di formazione, gli addetti del settore elettronico sono via via diventati sempre più critici.
Inizialmente le applicazioni più sensibili erano quelle militari e aerospaziali, successivamente con l'espandersi della presenza elettronica in quasi tutte le aree industriali,  i problemi di affidabilità hanno indotto una sempre più attenta riflessione sugli effetti negativi  che il fenomeno ESD comporta. Questo ha stimolato la richiesta  di particolari precauzioni in tutte le fasi produttive, a partire  dalla progettazione dei circuiti, passando dai processi per terminare all'handling e al packaging.
La progressiva miniaturizzazione dei circuiti integrati implica un parallelo affinamento delle prestazioni, ma anche delle caratteristiche fisiche, questo li espone maggiormente all'azione negativa di eventuali cariche elettrostatiche. Un danneggiamento che può essere sia  istantaneo o peggio ancora manifestarsi nel tempo col decadimento delle prestazioni. I recenti circuiti sono sensibili di danneggiamento  già a potenziali di qualche centinaio di volt; un valore di tensione che l'uomo coi propri sensi non è in grado di apprezzare e che di conseguenza tende a ignorare.
La percezione umana di un evento ESD si può manifestare solo attraverso i sensi con la soglia di 3.000Volt col  tatto e sopra i 10.000Volt con la vista.
Questo vuol dire che quando tocchiamo un oggetto o una persona e sentiamo quel leggero pizzicare, ci troviamo ad avere una differenza di potenziale di almeno 3.000 volt. Quando togliamo un indumento e sentiamo come uno sfrigolio, ci sono in gioco potenziali pari o superiori a 5.000 Volt. Nelle giornate primaverili e ventose, quando toccando l'auto ritraiamo la mano colpita da una scarica che vediamo e   sentiamo, siamo stati colpiti da una scarica superiore ai 10.000 Volt; per l'esiguità della corrente in gioco a noi procura solo fastidio, ma se dovesse verificarsi su circuiti in cui le dimensioni delle sue componenti si misurano in micron, potrebbe essere fatale.

Effetto triboelettrico
Il fenomeno o effetto triboelettrico  consiste nel trasferimento per strofinio di cariche elettriche tra materiali diversi di cui almeno uno è isolante, si viene quindi a generare una tensione.
Il termine deriva dal greco tribos, che significa appunto strofinio.
I vari materiali potenzialmente coinvolti nel fenomeno non si comportano tutti allo stesso modo, ma reagiscono acquisendo polarità e intensità di carica diverse. Si va dal materiale che tende a cedere elettroni caricandosi positivamente a quelli che all'opposto tendono ad accettare elettroni caricandosi negativamente.
La polarità e l'intensità della carica generata dipendono, oltre che dai materiali, anche da altri fattori come la finitura superficiale, la pressione di contatto, l'intensità dello sfregamento e la rapidità con cui si allontanano le superfici messe a contatto, le condizioni ambientali come l'umidità relativa. La formazione delle cariche elettrostatiche non richiede necessariamente lo strofinio in quanto il trasferimento di elettroni da un materiale all'altro si può manifestare anche mediante il semplice contatto.
Il mettere a contatto due superfici determina il fenomeno dell'adesione dove si formano dei legami chimici nei punti in cui la distanza tra gli atomi dei due diversi materiali è dell'ordine di pochi angstrom (0,1 nm o 1×10−10 m); questo avviene ovviamente solo su una piccola percentuale delle superfici a contatto. Essendo diversi i materiali, diverse sono le energie con cui gli elettroni delle orbite esterne sono legati ai rispettivi atomi. L'interazione a livello atomico che può venirsi a creare favorisce il passaggio di elettroni dagli atomi del materiale in cui l'energia del legame è più debole a quello in cui è più forte.
Lo strofinio non fa altro che aumentare i punti di contatto tra le superfici e quindi accentua  il fenomeno triboelettrico.
I materiali che acquisiscono elettroni si caricano negativamente, mentre quelli che cedono elettroni si caricano positivamente.
Nei materiali conduttori la carica acquisita si distribuisce uniformemente, negli isolanti  rimane localizzata nei punti in cui è avvenuto lo scambio generando un forte campo elettrico. Nel momento del distacco si possono manifestare fenomeni locali di scarica elettrica, con  parziale ritorno degli elettroni scambiati al materiale originario.

Dal micro evento al macro problema
Si immagini di camminare, in una giornata con basso tasso di umidità, su un tappeto sintetico indossando scarpe con suola in gomma. Toccando poi un oggetto metallico come potrebbero essere gli infissi di una finestra, si è soggetti a una piccola scarica elettrica. Per quanto detto sopra, il contatto tra suola e tappeto crea un trasferimento di elettroni, essendo materiali isolanti le cariche rimangono localizzate. Supponiamo che il primo si carichi positivamente e le scarpe negativamente. A questo punto si innesca un'induzione elettrostatica tra le scarpe e il corpo umano che è un conduttore naturale. I piedi si caricano positivamente inducendo una carica negativa all'altro estremo, mani comprese. Avvicinando la mano all'infisso metallico parte la scarica. Il fenomeno, della durata di qualche microsecondo, lo avvertiamo solo se la tensione accumulata è superiore ai 3000 Volt e lo vediamo se è superiore ai 10mila Volt.
Fenomeni di questo genere, sebbene non avvertiti da una persona perché al di sotto della soglia di sensibilità umana, possono comunque danneggiare i dispositivi elettronici.
In particolare i circuiti integrati presenti in ogni dispositivo elettronico sono molto esposti all'azione delle cariche elettrostatiche, con un ampio intervallo di malfunzionamento che può andare dal danno catastrofico immediato (con rottura del circuito interno al componente) a danni latenti (e non meno pericolosi)  che causeranno sicuramente un problema anche se solo rimandato nel tempo. Anche i dispositivi già operativi  e per molti versi protetti come ad esempio i computer possono essere esposti, in quanto la scarica potrebbe essere riconosciuta come un segnale (ad esempio di reset) e far perdere i dati in memoria.
Attenzione va posta anche durante il ciclo di processo in quanto l'elettricità statica attrae piccole particelle di materiali presenti nell'ambiente (ad esempio la polvere),  che potrebbero costituire a vario titolo un inquinante.

Resistenza e materiali
L'accumulo di cariche elettrostatiche è solo l'origine del problema. Il problema in quanto tale è dovuto al passaggio di corrente che trovando una via di fuga verso terra tende a ripristinare quell'equilibrio alterato dall'effetto triboelettrico. Da questo il motivo per cui assume rilevanza il suddividere i materiali in base al loro valore di resistenza superficiale.
I materiali molto conduttivi, con resistenza superficiale massima di 1 KΩ, hanno un tempo di dissipazione delle cariche molto breve, capace di causare danni se messi a contatto tra potenziale di accumulo da una parte e dispositivo da proteggere dall'altra.
I materiali conduttivi con valori di resistenza superficiale compresi tra 10 KΩ e 100 KΩ mantengono un grado di dissipazione piuttosto veloce, ma ancora nei limiti dalla normativa (CEI EN61340-5-1).
I materiali più adatti da utilizzare per attivare la protezione nei confronti dei fenomeni ESD hanno una resistenza superficiale compresa tra 106 Ω e 1012 Ω e vanno sotto il nome di statico dissipativi.
Questo non significa un loro uso generalizzato perché la normativa prescrive, in funzione degli utilizzi e delle applicazioni,  valori ben definiti.
Quando il valore di resistenza superficiale super il valore di 1012 Ω, si è in presenza di materiali isolanti, che si caricano facilmente e senza precisi accorgimenti di protezione attiva non si scaricano.
Quando una carica è generata, la sua distribuzione dipende  dalla resistività superficiale del materiale (la resistività elettrica è l'attitudine di un materiale a opporre resistenza al passaggio delle cariche elettriche). Nei materiali conduttivi e dissipativi la distribuzione è omogenea, mentre non lo è negli isolanti dove si può assistere anche ad addensamenti di cariche.

Protezione passiva, protezione attiva
Essendo evidente la facilità e la frequenza con cui possono essere generate le cariche elettrostatiche , diventa fondamentale creare le condizioni ideali per la gestione e la movimentazione di componenti e dispositivi (pcb inclusi) sensibili e vulnerabili alle cariche elettrostatiche.
La copertura dai fenomeni ESD si ottiene applicando due concetti di base:
- Operare in aree protette (EPA);
- Adottare imballi adeguati per la movimentazione delle parti ESD sensitive.
Per inciso un'area protetta non è necessariamente l'intero reparto, ma potrebbe essere anche una semplice postazione di lavoro. E' una zona completamente libera da campi elettrostatici dove il livello di sicurezza è garantito dal collegamento a terra di tutti i materiali statico/dissipativi e dell'operatore. I materiali conduttivi dissipano velocemente le cariche elettriche verso terra e di conseguenza  è sconsigliato metterli a diretto contatto con i dispositivi da proteggere, soprattutto nel caso di pcb che contengano componenti alimentati.
La protezione effettuata mediante l'impiego di accorgimenti in grado di dissipare verso terra le cariche elettrostatiche è definita protezione passiva.
Il fenomeno può essere gestito anche attraverso sistemi di protezione attiva e più in particolare con l'impiego di apparecchiature ionizzanti che hanno il compito di prevenire la formazione delle  cariche e nel caso di neutralizzarle.
L'apparecchio emette alternativamente ioni positivi e ioni negativi creati per mezzo di elettrodi e dispersi nell'ambiente di lavoro per mezzo di ventole. La frequenza con cui sono generate le due ondate è tale da non far interferire ioni positivi con quelli negativi, ma di dargli modo di raggiungere le superfici su cui neutralizzare le cariche eventualmente  presenti.
Sebbene i materiali isolanti siano ufficialmente banditi da un'area EPA, in alcuni casi è giocoforza il poterli introdurre e di conseguenza diventa essenziale cautelarsi. Per questa ragione è sempre suggerito di attivare entrambi i sistemi di protezione, sia quello passivo che quello attico, per avere la garanzia della più ampia copertura possibile.

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