Crescono i produttori italiani

L'Italia elettronica sta recuperando il suo ruolo sul palcoscenico mondiale. I produttori nostrani di sistemi elettronici hanno delle ottime chance quando si tratta di fabbricare volumi non troppo elevati e, soprattutto, quando è necessario garantire ottimi livelli di qualità a prezzi convenienti. Spesso, però, sono troppo piccoli e fanno fatica a tenere il passo con la tecnologia manifatturiera. Hanno bisogno di aiuto, di avere al fianco esperti che sappiano scegliere le macchine giuste e che si assumano la responsabilità e l'onere di realizzare per loro una “fabbrica chiavi in mano”, garantendo il livello di qualità, produttività e competitività richiesto. E, magari, che siano in grado di fornire assistenza in altri Paesi del continente; infatti sono ormai sempre più numerosi coloro che inaugurano stabilimenti anche al di là del confine, soprattutto in Europa dell'est. Roberto Gatti, Sales & Marketing Director di Prodelec, analizza la situazione dal suo osservatorio privilegiato: un fornitore di tecnologia che offre soluzioni globali con un supporto che va dai corsi di formazione per gli operatori alla progettazione chiavi in mano di intere strutture manifatturiere.

Qual è la situazione della produzione elettronica italiana?

Difficile riassumerla in poche parole. Alcuni segmenti stanno andando molto bene: c'è una forte espansione nell'industriale e nel mercato dell'elettronica di consumo. Gli elettrodomestici “bianchi”, i sistemi di domotica, gli impianti di citofonia sono alcuni esempi di successo; ma sono buoni, in generale, i risultati di tutti coloro che operano nel settore dell'impiantisca elettrica “intelligente”. Anche nell'automobile la situazione è positiva. Certo, l'auto sta andando bene un po' ovunque. Il numero di gadget elettronici presenti nelle vetture dell'ultima generazione continua a crescere: navigatori, periferiche per la localizzazione satellitare, strumenti per il pagamento automatizzato del pedaggio… Questo, ovviamente, favorisce la crescita del settore: e non solo in Italia. A differenza, però, di quanto è capitato in altri Paesi Europei (penso alla Francia) siamo riusciti ad evitare di trasferire all'estero alcune produzioni importanti di elettronica per l'auto. In Italia abbiamo saputo mantenere un buon rapporto tra costo e qualità del prodotto. Questo ci ha favorito anche rispetto a nazioni a basso costo del lavoro, come la Polonia. Il nostro punto debole forse è la logistica. Le telecomunicazioni, invece, si stanno ormai allontanando sempre più da noi ed emigrano altrove. Anche la produzione di informatica ha ormai preso da tempo la strada verso altri lidi.

Qual è il profilo di un produttore elettronico italiano di successo?

In Italia esistono moltissimi produttori che fabbricano sistemi elettronici per conto di un committente: aziende che vengono catalogate sotto l'etichetta di EMS o CEM. Secondo alcune statistiche, sarebbero addirittura alcune centinaia. La tipica azienda di successo, in questo mercato, ha in media meno di 100 dipendenti. È la dimensione giusta per garantire al cliente la qualità esasperata che esige, offrendo la capacità di acquistare sul mercato a costi vantaggiosi tutto ciò di cui ha bisogno, con un prodotto finale a prezzi competitivi. Chi è troppo piccolo non riesce a spuntare i prezzi migliori per comprare tutto il materiale che gli è necessario, mentre il cliente vuole, la maggior parte delle volte, che il CEM acquisti direttamente i componenti che gli servono. Chi è troppo grande, invece, ha bisogno di lavorare sui grandi volumi per giustificare i suoi costi di struttura; l'Italia, purtroppo, non è più il Paese dei grandi volumi: da noi ormai non esistono quasi più le produzioni di massa. I grandi CEM, di conseguenza, non trovano vita facile.

Come può un produttore medio-piccolo affrontare le complessità della tecnologia?

Fa fatica. Spesso non ha le strutture necessarie per seguire tutte le evoluzioni della tecnologia di produzione, e se non aggiorna le proprie linee, o se si avvale di stabilimenti obsoleti, corre il rischio di perdere la propria competitività. Proprio per rispondere a questa domanda noi stiamo modificando profondamente il nostro approccio al mercato. Siamo nati come venditori di macchine per la produzione. Ora ci proponiamo anche come integratori di sistema, fornendo soluzioni complete e linee di fabbricazione chiavi in mano. Abbiamo sfruttato bene il know how che avevamo acquisito nelle macchine: una base molto solida che ci è servita per aumentare la nostra competenza nella realizzazione di stabilimenti completi. Agiamo ora come 'prime contractor' e solleviamo il nostro cliente dalla necessità di occuparsi di problemi che, spesso, non saprebbe affrontare da solo. Con il nostro supporto può concentrarsi sul suo business: aumentare la produttività e garantire qualità eccellente a costi competitivi. Con la certezza che un esperto ha realizzato per lui la linea più adatta alle sue esigenze.

Qual è l'impatto sul settore delle normative per la protezione dell'ambiente?

La direttiva RoHS, che prevede di fatto l'eliminazione di alcune sostanze nocive (tra cui il piombo) nei sistemi elettronici, è applicata circa dal 50% dei produttori italiani che hanno dovuto rinnovare i propri stabilimenti modificando i loro processi. Non voglio dire che solo la metà si è adeguato a una norma che ha valore di legge. Ci sono alcuni settori che possono operare in deroga alla RoHS, ad esempio le applicazioni per l'automobile, i sistemi destinati al mercato ferroviario, le apparecchiature medicali. Ma tra non molto tutti si dovranno adattare, perché ormai ci sono in commercio quasi esclusivamente componenti 'a norma RoHS'. Purtroppo questo crea, almeno nella prima fase, un aggravio dei costi senza offrire alcun reale vantaggio competitivo.

La concorrenza cinese fa spavento?

Certo, bisogna sempre guardare con attenzione ai concorrenti. Stiamo però toccando con mano il fatto che alcune produzioni elettroniche stanno rientrando in Europa; dopotutto la Cina è lontana, e non è così semplice da gestire. I cinesi faticano ad entrare in Germania e in Italia. Da noi, questo è dovuto soprattutto al fatto che raramente abbiamo bisogno di produzioni di grandissimi volumi. E i cinesi sono bravi soprattutto quando si ha a che fare con un numero enorme di pezzi. La specialità di noi italiani è garantire la qualità e i tempi di consegna, per volumi relativamente limitati. In questi casi conviene, casomai, delocalizzare la fabbrica dall'Italia verso un'area a basso costo del lavoro, ma geograficamente vicina: nei Paesi dell'est europeo, ad esempio. Ma rimane importantissimo l'apporto di tecnologia e know how italiano.

Aprire stabilimenti all'est, per esempio in Romania o Ungheria, può essere piuttosto complicato.

Verissimo,ma spesso è necessario farlo. Ormai è abbastanza normale che un produttore, anche di dimensioni non enormi, abbia fabbriche in diverse nazioni. È il villaggio globale. Per questo siamo convinti che chi fa il nostro mestiere debba avere una presenza geografica ramificata. Noi, che consegniamo linee manifatturiere chiavi in mano, non possiamo poi affidarci a qualche sconosciuto distributore locale per fornire assistenza al di fuori dall'Italia, ma dobbiamo essere presenti direttamente, per dialogare con i tecnici locali e quelli che operano nella sede centrale. Stiamo lavorando alacremente per andare in questa direzione. Siamo convinti che, in alcuni settori gli italiani stiano riconquistando un ruolo sul palcoscenico elettronico europeo (o, addirittura, mondiale). Sono piuttosto bravi quando si tratta di realizzare l'elettronica di qualità, per alcuni settori. Siamo pronti a dare loro una mano, aiutandoli a progettare le loro fabbriche e preparandoci a fornire loro l'assistenza richiesta non solo in Italia, ma anche fuori dai nostri confini.

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