Risolvere i problemi dell’IoT

Nel 2003 c’erano soltanto poco più di 500 milioni di dispositivi collegati a Internet nel mondo, ovvero appena 0,08 dispostivi/persona, o solo 0,02 dispositivi per ogni persona collegata a Internet. Nel 2010 eravamo arrivati a 12,5 miliardi di dispositivi connessi, quasi sei dispositivi per ogni singolo individuo collegato a Internet. Oggi, arrivati a metà del 2015, il numero di cose connesse dovrebbe raggiungere i 25 miliardi e si prevede che la cifra tocchi i 50 miliardi entro la fine del decennio. Questa tendenza non accenna a fermarsi e con lo sviluppo di nuove nanotecnologie connesse, la cosiddetta “smartdust”, questo numero potrebbe crescere esponenzialmente da un giorno all’altro. Mano a mano che aumenta il numero di oggetti connessi, si prevede anche un incremento nell’intelligenza di comunicazione tra ogni singolo dispositivo. Ad esempio, un sistema intelligente antincendio è reso ancora più utile se lo si collega a un termostato smart. Inoltre, se questo termostato può essere collegato allo smartphone di un utente, si aggiunge un nuovo livello di intelligence al sistema e quindi, più oggetti si aggiungono alla rete, più semplice sarà per questi oggetti trasformare vaste quantità di dati insignificanti in informazioni veramente funzionali. È questo l’obiettivo fondamentale dell’Internet of Things: sviluppare una rete autosufficiente di oggetti di utilizzo quotidiano in grado di fornire insieme un valore totale più elevato rispetto a quello che potrebbe fornire ogni singolo oggetto. Ed è questa l’idea attualmente in fase d’implementazione da parte di governi, aziende, gruppi accademici e appassionati del settore: da standard IoT internazionali allo sviluppo di sensori intelligenti su misura, l’Internet delle cose si sta espandendo a tutti i livelli della comunità elettronica. Ma malgrado questo impegno condiviso per l’IoT, permane una serie di sfide complesse che il settore deve superare prima di raggiungere un’adozione universale. Queste sfide spaziano da considerazioni tecniche, come protocolli e standard universali, a concetti meno tangibili come l’impatto sulla privacy delle persone. Fintanto che l’industria non avrà affrontato queste sfide, l’adozione dell’IoT rimarrà sempre un’utopia.

Adottare standard universali
Anche se sono stati fatti molti passi avanti verso uno standard dell’IoT, la strada è ancora lunga in termini di sicurezza, privacy e soprattutto di architettura. Secondo un recente articolo pubblicato sul Financial Times, si starebbe combattendo una “battaglia intensa” tra gruppi tecnologici e di telecomunicazione per il dominio del mercato dell’Internet of Things. Mentre i vari leader di mercato cercano di affermare la propria presenza all’interno di questo mercato, molti standard concorrenti vedono la luce, tra cui il “Physical Web” di Google, l’IIC (Industrial Internet Consortium), l’Open Interconnected Consortium e “Thread”, un nuovo protocollo wireless IP che mette d’accordo Google, Samsung, Arm e Freescale. Anche se il lavoro di queste entità aiuta a stimolare l’adozione dell’IoT, la carenza di standardizzazione nel settore continua a preoccupare e di conseguenza, fintanto che non saranno concordati standard universali, l’IoT rischia di diventare un altro settore tecnologico asincrono gestito di volta in volta dalle grandi aziende dell’IT.

Adottare il protocollo IPv6
Ogni dispositivo che si collega a internet necessita della sua etichetta numerica unica, o indirizzo IP. Oggi come oggi, la stragrande maggioranza di questi indirizzi IP funziona con una versione di quarta generazione del Protocollo Internet noto come IPv4. Sfruttando un sistema a 32-bit, IPv4 offre in tutto circa 4,3 miliardi di indirizzi unici, numero già raggiunto a febbraio 2010. Ogni giorno però nuovi dispositivi vengono connessi a Internet e la capacità di IPv4 è messa a rischio. Ecco perché la connessione di nuovi dispositivi alla rete è possibile soltanto tramite Network Address Translation, un metodo di rimappatua di un indirizzo IP in un altro, per dare l’illusione di aver aggiunto spazio. Questo metodo, che si è rivelato utile per evitare l’esaurimento degli IP, probabilmente non sarà in grado di soddisfare le esigenze dell’IoT, mano a mano che aumentano i dispositivi collegati. Dal canto loro, gli operatori di rete stanno promuovendo l’adozione dell’IPv6, un nuovo protocollo da 128 bit in grado di offrire fino a 340 undicilioni (340.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000) di indirizzi IP. Questo nuovo protocollo non solo aiuterà a fornire abbastanza indirizzi per supportare l’Internet delle cose (comprese le applicazioni ‘smart dust’), ma offrirà anche una maggiore sicurezza e più risorse di gestione di rete. Malgrado i numerosi vantaggi dell’IPv6, un rapporto di Google pubblicato a dicembre 2014 indicherebbe che oltre il 94% dell’intero traffico mondiale su Internet avviene ancora su IPv4, quindi per garantire il successo della tecnologia dell’IoT, il tasso di adozione dell’IPv6 deve accelerare.

Selezionare protocolli wireless
Oltre alla mancata standardizzazione delle infrastrutture, i tecnici progettisti devono anche fare i conti con una serie impressionante di tecnologie di connessione da inserire in un dispositivo IoT. In genere queste tecnologie comprendono tra le altra, Wifi, Bluetooth, Bluetooth bassa energia, Ant, ZigBee e RF4CE. Nel selezionare la tecnologia wireless adeguata, i progettisti devono prendere in considerazione numerosi fattori come ad esempio se sia necessaria una soluzione proprietaria, se occorre adottare uno standard industriale, di quale banda di frequenza e di quanta energia avrà bisogno il dispositivo. Questa scelta inoltre avrà un impatto sul modo in cui il dispositivo sarà in grado di comunicare con altri oggetti e in ultima istanza potrebbe limitarne l’adozione nell’ambito dell’Internet of Things. La decisione di sviluppare una soluzione proprietaria rispetto all’utilizzo di una tecnologia standard esistente come Bluetooth spesso riguarda la funzionalità di base necessaria. Funzioni estremamente specializzate possono aver bisogno di un’implementazione proprietaria, che limita immediatamente le opzioni disponibili dei fornitori di dispositivi originali. D’altro canto però una piattaforma wireless proprietaria può essere personalizzata in modo specifico per l’applicazione, il che aiuta a diminuire l’impronta del software. Il Wi-fi, che al momento domina il mondo della connessione senza fili, potrebbe non essere sufficiente a sostenere l’Internet of Things, a causa del fatto che la tecnologia Wi-fi richiede molta energia. Molti sviluppatori in questo momento rivolgono la loro attenzione ai protocolli Low Energy Bluetooth Ant Dynastream, entrambe soluzioni che consumano poca energia e sono poco costose per le comunicazioni wireless a corto raggio, il che rende ideali per i dispositivi indossabili e IoT.

Fornire una adeguata fonte d’alimentazione
La decisione di allontanarsi dal Wi-Fi pone un’altra questione per l’adozione dell’IoT: come fornire un’alimentazione adeguata a così tanti dispositivi collegati a Internet? Affinché l’Internet of Things possa raggiungere il suo pieno potenziale, i diversi dispositivi in rete devono diventare sempre più autosufficienti. Mano a mano che l’IoT si espande, per contenere milioni o addirittura miliardi di sensori integrati, è alquanto irrealistico pensare di dover cambiare regolarmente le batterie di ogni apparecchio. Al contrario, occorre che ogni singolo sensore sia in grado di generare elettricità dal proprio ambiente, sfruttando elementi locali come vibrazioni, luci e flusso d’aria. Ciò si ottiene per lo più con l’adozione di nanogeneratori, piccolo raccoglitori di energia flessibili e autoalimentati che possono essere utilizzati per convertire l’energia cinetica (generata da fonti vibrazionali e meccaniche) in energia elettrica, eliminando la necessità di circuiti esterni e batterie per i dispositivi elettronici. Anche se lo sviluppo iniziale dei nanogeneratori è stato lento, recenti passi avanti mostrano che l’efficienza energetica di questi dispositivi aumenta fino a un massimo di 40 volte. Oggi, grazie all’operato di aziende come EnOcean e Perpetuum, la tecnologia dei nanogeneratori viene utilizzata per convertire in energia qualsiasi cosa, dalle vibrazioni ai passi umani. Malgrado questi passi avanti, la strada è ancora lunga per risolvere davvero il problema del consumo energetico. Mentre il mondo si avvia verso 50 miliardi di dispositivi connessi, l’esigenza di fonti flessibili di energia rinnovabile diverrà un problema sempre più comune.

L’impatto sulla privacy
Una delle principali preoccupazioni legate all’IoT riguarda l’impatto sui diritti e sulla privacy degli individui. Timori di marketing invasivo e di sorveglianza da parte del mondo delle aziende hanno contribuito a generare una lobby potente di fraintendimento e sfiducia sull’Internet of Things. Di conseguenza, se il settore vuole spronare un’adozione diffusa da parte dei consumatori, spetta ai progettisti aiutare a garantire che non si verifichino abusi della privacy dell’utente e in ultima istanza della sua fiducia. Dal punto di vista della progettazione, il modo migliore per raggiungere quest’obiettivo è garantire che i prodotti dell’IoT portino davvero un valore tangibile nella vita delle persone. Progettando applicazioni che siano realmente vantaggiose e non inutili applicazioni senza una reale utilità, l’Internet of Things può fornire agli utenti finali qualcosa che li convinca fino in fondo. Ogni volta che si lancia una nuova tecnologia il problema della privacy è sempre il primo ad essere chiamato in causa dai media e dal pubblico. È successo con gli smartphone e con i sistemi di navigazione satellitare, ma queste nuove tecnologie stesso hanno trovato una vasta applicazione perché offrivano vantaggi tangibili all’utente finale, cercando allo stesso tempo di proteggerne la sicurezza e la privacy. Ecco perché i dati raccolti dai dispositivi dell’IoT devono essere resi trasparenti al massimo, salvaguardando la informazioni delle persone con controlli sensibili e misure di sicurezza. La base di questi controlli era stata in origine delineata da un rapporto del 2009 della Commissione Europea che invitava gli stati membri a fornire line guida sulla progettazione e il funzionamento degli oggetti collegati a Internet. Tali linee guida evidenziavano la necessità che i dispositivi IoT fossero resistenti agli attacchi, usassero dati autenticati, implementassero controlli sensibili di accesso sui dati raccolti e offrissero un livello estremamente elevato di privacy del cliente. Queste sono tutte considerazioni che sia i tecnici professionisti dell’IoT che i semplici appassionati devono prendere in considerazione quando decidono di creare un nuovo dispositivo connesso.

Vantaggi e ostacoli
Questo elenco contiene solo alcune delle questioni costanti che devono essere risolte affinché l’IoT sia adottato entro la fine del 2015. Anche se alcuni di questi ostacoli sono di competenza dei governi e degli attori industriali, molti di essi sono già sotto gli occhi di progettisti e appassionati di tutto il mondo. Ed è proprio questo che rende l’Internet of Things un tema così interessante per chi appartiene alla community del design: non solo prevedere i vantaggi, ma anche superare gli ostacoli.

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