Gli enti governativi hanno identificato nella riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dagli autoveicoli un fattore di rilievo nella riduzione dei gas serra, in conformità a quanto richiesto da trattati internazionali come il Protocollo di Kyoto. Nell'Unione Europea, ad esempio, un 20% circa delle emissioni di CO2 viene attribuito al trasporto su gomma ed è oggi in fase di attuazione una strategia per la riduzione, entro il 2012, delle emissioni medie di CO2 da parte delle nuove autovetture al valore di 120 grammi per chilometro. Anche se è difficile che questa scadenza verrà rispettata, in media le emissioni delle nuove autovetture si sono ridotte considerevolmente e la Commissione Europea è in procinto di valutare la fattibilità della nuova proposta del Parlamento Europeo di raggiungere l'obiettivo di 70 g di CO2/km per il 2025. Con questa attenzione crescente verso le emissioni, il consumo efficiente del carburante assume un'importanza sempre maggiore per i progettisti di automobili. Oltre ad aver migliorato aspetti come l'architettura del motore e la gestione del carburante, sistemi come il servosterzo, la pompa dell'acqua e la ventola di raffreddamento sono passati da un azionamento pilotato dal motore a scoppio a un comando totalmente elettrico. Ciò elimina carichi meccanici che riducono la potenza del motore e riduce anche il peso complessivo del veicolo, offrendo una gestione del carburante decisamente più efficiente. I sistemi elettrici sono ancora più pervasivi nei veicoli elettrici ibridi. Sono disponibili diversi tipi di architetture: la soluzione classica prevede il gruppo motore elettrico/generatore nel sistema di trasmissione tra il motore a combustione interna e il cambio. La coppia motore elettrico/generatore lavora con il motore a combustione interna per migliorare l'accelerazione, è in grado di spingere l'automobile solo grazie alla potenza della batteria e a motore spento e può recuperare l'energia cinetica normalmente persa durante la frenatura. Una crescente varietà di veicoli ibridi è oggi disponibile, dalle utilitarie ultraeconomiche alle autovetture ad alto rendimento, in grado di offrire una maggiore accelerazione e al contempo una riduzione dei consumi del 20% rispetto a vetture equivalenti di tipo tradizionale. L'obiettivo finale è, chiaramente, un azionamento totalmente elettrico. Queste, di fatto, sono le prime generazioni di veicoli destinati al mercato di massa. Nelle auto a propulsione ibrida o totalmente elettrica, occorrono dei grossi motori elettrici per il sistema di propulsione, ma continua nel frattempo la richiesta di impianti come il servosterzo e accessori come tergicristalli, specchietti retrovisori e sedili regolabili, nonché i comandi per l'aria condizionata. Poiché il risparmio della corrente immagazzinata dalla batteria ha un'importanza cruciale per massimizzare la percorrenza del veicolo, tutti questi motori e sistemi di conversione della potenza devono essere estremamente efficienti.
Semiconduttori di potenza efficienti
I progettisti di azionamenti per autoveicoli non devono solo scegliere la topologia di azionamento più efficiente dal punto di vista dei consumi, ma devono altresì considerare le proprietà dei componenti elettronici selezionati, in particolare, le perdite elettriche che si verificano nei Mosfet di potenza utilizzati nei diversi azionamenti a ponte, negli inverter e, in generale, nei circuiti a commutazione di potenza presenti nell'impianto elettrico del veicolo.
I costruttori di Mosfet di potenza hanno fatto grandi progressi nell'ottimizzare le prestazioni dei chip, minimizzando sia la resistenza di conduzione (resistenza nello stato di “on”) che le perdite in fase di accensione e di spegnimento. Queste perdite di conduzione e di commutazione sono le due principali tipologie di perdite in un circuito Mosfet di potenza, e sono solitamente interdipendenti: un'ottimizzazione del dispositivo in base alle perdite di conduzione tende a sacrificare le prestazioni in fase di commutazione e viceversa. Per questo motivo sono disponibili diversi tipi di dispositivi: quelli con basse perdite di conduzione, per Mosfet ad alto duty-cycle, e quelli con basse perdite di commutazione, nei casi in cui occorrono commutazioni rapide; ma questa varietà prevede anche dispositivi con un mix di queste due caratteristiche, quando le applicazioni sono di tipo più generale. Un'altra componente principale di perdita nei dispositivi di potenza è legata ai collegamenti elettrici tra il chip del Mosfet e i terminali esterni. La qualità di queste connessioni - in particolare dei collegamenti tra source e drain che trasportano la corrente di carico - è di importanza cruciale per le prestazioni del Mosfet. L'ideale è avere un collegamento metallico di grossa sezione. Ciò minimizza efficacemente la resistenza di connessione e aiuta ad ottenere una bassa resistenza del contenitore o Dfpr (Die-Free Package Resistance), che definisce il contributo di resistenza che il contenitore apporta alla RDS(ON) del dispositivo. Una maggiore sezione delle connessioni riduce l'induttanza parassita, aumenta il rendimento, diminuisce la produzione di calore e migliora l'efficienza di commutazione. Da quando è nata la tecnologia dei contenitori a montaggio superficiale, sono state sviluppate diverse tipologie di contenitori di potenza, al fine di aumentare la conduttività di questi collegamenti e migliorare sia il rendimento che la corrente nominale del dispositivo. Ottimizzando il chip in base alla resistenza di conduzione e garantendo per il contenitore una bassa Dfpr, il progettista può realizzare un Mosfet di potenza con una bassa resistenza di conduzione generale RDS(ON).
Migliorare il progetto del contenitore
Da sempre, il wire-bonding è la tecnica predominante per collegare un chip ai contatti del contenitore. Le connessioni a filo sono economiche e semplici, essendo realizzate direttamente sui contatti metallici superiori del chip. Tuttavia, ogni singolo conduttore possiede una sezione piccola, il che genera una resistenza e un'induttanza parassite. Per combattere questi effetti e ottenere la portata di corrente desiderata, spesso occorre collegare più conduttori in parallelo. Questo aumento di conduttori, riduce però l'affidabilità del dispositivo. Uno svantaggio ulteriore è il fatto che i contatti presenti in alto sul chip impediscono di utilizzare altre tecniche di incapsulamento utili per smaltire il calore direttamente dalla superficie superiore del contenitore. Tuttavia, il raffreddamento da circuito stampato diventa impraticabile in applicazioni ad alta potenza e risulta necessario un collegamento meccanico complesso e costoso a una struttura metallica o a un dissipatore. Per questi motivi, si può dire che la tecnologia del bond wire rappresenta uno dei principali ostacoli al miglioramento delle prestazioni sia termiche che elettriche dei contenitori dei circuiti integrati a semiconduttore.
La tecnologia DirectFet
La tecnologia DirectFet di International Rectifier elimina completamente i fili di collegamento interni dai contenitori dei Mosfet di potenza. Il chip del Mosfet viene fabbricato con una finitura metallica anteriore saldabile, in congiunzione con un sistema di passivazione proprietario che produce degli ampi contatti di gate e di source su una faccia del chip e un ampio contatto di drain sul lato posteriore. Il chip è capovolto e mostra i contatti metallici di gate e di source sul lato inferiore del contenitore. Questi vengono poi saldati direttamente sul circuito stampato. Un contenitore in rame è collegato al contatto di drain sul lato superiore del chip capovolto. Il contenitore copre l'intera superficie superiore del chip e si prolunga verso il basso creando dei collegamenti di drain coplanari a livello del circuito stampato. Un adesivo fissa il chip nel contenitore. L'assenza di connessioni a filo migliora anche la Dfpr portandola a soli 150 µΩ, un valore insignificante rispetto alla resistenza di conduzione del chip Mosfet. Il confronto tra la Dfpr del DirectFet con i tipici valori dei tradizionali contenitori di potenza, mostra un miglioramento di almeno il 70% rispetto al contenitore wirebond D2PAK. Inoltre, il contenitore DirectFet è conduttivo ed è l'equivalente di una pista di un circuito stampato da 250um (7 oz). Questa caratteristica permette di realizzare dei nuovi layout della sezione di potenza in inverter e in convertitori Dc-Dc, in cui il contenitore stesso agisce da collettore o da pista per il circuito stampato, consentendo di risparmiare spazio su scheda e di ridurre le perdite per effetto Joule. Oltre ad eliminare la resistenza di incapsulamento associata alle tradizionali connessioni con telai (leadframe) e fili metallici (wire bond), la soluzione DirectFet elimina anche la plastica del contenitore che, di per sé, presenta una scarsa conducibilità termica. L'ampio contatto di drain in rame fornisce anche un percorso alternativo per la dissipazione del calore e un'efficace interfaccia termica verso un dissipatore esterno. Grazie a un raffreddamento efficace di entrambe le facce superiore e inferiore del contenitore, il contenitore DirectFet riduce in maniera significativa la resistenza termica rispetto ad altri contenitori . Un ulteriore vantaggio del contenitore DirectFet è il fatto che il chip utilizza un'elevata porzione superficiale del circuito stampato. Ciò permette a un chip di silicio più grosso di entrare in un contenitore DirectFet molto più piccolo, il che consente di ridurre la resistenza di conduzione e di aumentare la densità di potenza. Riducendo in maniera significativa le perdite elettriche, le dimensioni e il peso, consentendo al contempo di ottenere un sistema meccanico più semplice, il contenitore DirectFet offre molti vantaggi ai progettisti di impianti per autoveicoli.
DirectFet per impianti automobilistici
Per concludere con un esempio pratico, la scheda di un inverter trifase che utilizza alcuni Mosfet di potenza DirectFet della serie AUIRF7736M2 da 40 V e 3 mW max. Il circuito stampato possiede due livelli di piste in rame da 71 mm di spessore e misura 77 x 83 mm, e tutti e sei i DirectFet sono disposti su una superficie di soli 17 x 47 mm. A temperatura ambiente, la scheda può operare a 40 Aeff in maniera continuativa oppure a 50 Aeff per 5 minuti con una tensione nominale di batteria pari a 13 V. Queste prestazioni vengono ottenute con un singolo dissipatore a contatto con i DirectFet. Quando un secondo dissipatore viene fissato al lato superiore della scheda, esso permette al calore di ripartirsi equamente tra i due dissipatori il che provoca una riduzione della temperatura massima della giunzione dei DirectFet. Con la scheda operante a 47 Aeff , si è scoperto che dopo 6 minuti di funzionamento continuo, la giunzione dei DirectFet era di 35 °C più fredda in presenza anche del dissipatore superiore rispetto al caso del solo dissipatore inferiore. Il confronto tra la temperatura del chip nei due casi di raffreddamento a singola faccia e a doppia faccia mostra come i DirectFet permettono di ottenere un design compatto e offrono la versatilità di raffreddare il contenitore da entrambi i lati. Ciò si traduce nella massimizzazione delle prestazioni entro un piccolo spazio e nel miglioramento dell'affidabilità, riducendo al contempo la temperatura del chip e quindi, in definitiva, ottenendo di più e consumando di meno.