Dall’Eda all’automotive


L’attenzione per i temi riguardanti i sistemi embedded, considerati particolarmente importanti per la competitività dell’industria europea, è certamente uno dei tratti distintivi della manifestazione Date (Design Automation & Test in Europe), quest’anno tenutasi a Monaco. Nell’ambito del panorama embedded, l’edizione 2008 ha assegnato un ruolo di particolare rilievo alle applicazioni automobilistiche. L’argomento, infatti, è stato affrontato tramite sessioni che si sono susseguite nell’arco di un’intera giornata, sotto la guida di due docenti italiani: Alberto Sangiovanni-Vincentelli (professore all’università di Berkeley e co-fondatore di importanti società Eda) e Marco Di Natale (Scuola S. Anna, Pisa).

Requisiti di affidabilità per la sicurezza nell’auto

Notevole il contributo italiano anche per quanto riguarda le relazioni presentate nel corso di questa giornata. Alberto Ferrari di Parades (un progetto di ricerca che vede la partecipazione di Cadence, STMicroelectronics e CNR) ha affrontato il tema dei requisiti di affidabilità che i chip devono soddisfare per garantire sicurezza nelle applicazioni automobilistiche. Ferrari ha ricordato che oggi le potenze di calcolo in gioco sono molto elevate (si parla di centinaia di Mips o perfino di 1 Gips per ogni singola funzione elettronica realizzata nell’autoveicolo) e ha descritto i due principali tipi di guasto che possono colpire un circuito integrato: “hard error” (difetto fisico) e “soft error” (difetto di stato). Per quanto riguarda questo secondo tipo di guasto, la distanza tra l’affidabilità dei chip oggi prodotti e i requisiti di sicurezza fissati dagli standard è tuttora molto grande ed è valutabile in tre-cinque ordini di grandezza. Gli odierni dispositivi, infatti, presentano una difettosità di circa 1000 Fit, mentre i valori richiesti sono di 1 Fit o anche (in particolari applicazioni) 0,01 Fit. Ricordiamo che 1 Fit (Failure unIT) è definito come un guasto nell’arco di un miliardo di ore. Ferrari ha poi illustrato le tecniche che possono essere utilizzate per migliorare l’affidabilità dei circuiti integrati, le quali si basano prevalentemente sulla ridondanza dei blocchi funzionali, delle operazioni effettuate o delle informazioni trasmesse. Ad esempio si possono utilizzare due microprocessori per svolgere la stessa funzione, confrontando continuamente i risultati dei loro calcoli per evidenziare eventuali discordanze. Questo approccio si scontra però con le necessità di integrazione, poiché due Cpu realizzate nello stesso chip non sono realmente indipendenti l’una dall’altra dal punto di vista delle possibilità di guasto. In sintesi, c’è ancora molto lavoro da fare. Ferrari ha infine sottolineato che i problemi di affidabilità devono essere risolti a livello di singolo dispositivo, affinché ogni chip possa essere certificato singolarmente e combinato con altri per realizzare più soluzioni diverse. Soltanto così sarà possibile evitare certificazioni separate per tutte le versioni delle varie automobili.

I pneumatici diventano “intelligenti”

Marco Sabatini di Pirelli ha illustrato le ricerche volte a trasformare i pneumatici in sensori intelligenti, capaci di rilevare una serie di parametri tra cui l’aderenza al terreno e la forza di contatto - oltre ovviamente a pressione di gonfiaggio, temperatura e grado di usura. I parametri che descrivono il “grip” del pneumatico sull’asfalto potranno essere utilizzati, ad esempio, per regolare automaticamente la distanza di sicurezza rispetto agli altri veicoli. La trasmissione dei dati dal pneumatico all’elettronica del veicolo sfrutterà radio a bassissimo consumo, che potranno essere alimentate anche tramite tecnologie di “energy harvesting” sfruttando il moto delle ruote. Al progetto, denominato CyberTyre, partecipano l’università di Berkeley, Accent, Encrea, Valtronic, i politecnici di Milano e Torino. Encrea è uno spin-off della Scuola Superiore di S. Anna, con sede a Pontedera. Ancora in tema di “automotive”, nell’ambito della Date è stata esposta un’automobile equipaggiata con un sistema sviluppato dall’università di Chemnitz, che associa ogni segnale stradale a un trasmettitore. In questo modo le immagini dei segnali possono essere visualizzate sul cruscotto, risultando molto evidenti per il guidatore, e il sistema può suggerire le azioni necessarie (ad esempio diminuire la velocità).

Sistemi embedded, sfide e opportunità

Anche in una prospettiva strettamente nazionale, il settore automobilistico potrebbe davvero offrire interessanti possibilità di sviluppo per l’industria elettronica. L’Italia, infatti, occupa una posizione di rilievo nel mercato automobilistico internazionale e i numeri in gioco sono di tutto rispetto. Ma l’automotive non è che uno dei tanti settori applicativi dei sistemi embedded, insieme a automazione industriale, strumenti medicali, telecomunicazioni, prodotti di largo consumo, domotica. Il “general chair” della Date 2008 - Donatella Sciuto, docente al Politecnico di Milano – è ben consapevole dell’importanza delle applicazioni embedded per l’industria europea, come si evince dall’intervista rilasciata alla rivista “Eda Tech Forum”. Nell’ambito dell’articolo, Sciuto ha osservato che la progettazione dei sistemi embedded pone una serie di problemi tuttora aperti, particolarmente per quanto riguarda la co-progettazione di hardware e software. Tra le difficoltà da affrontare sono comprese la ripartizione dei task, la gerarchia di memoria, l’interazione tra i task, le strutture dei bus e delle “reti su chip”, la stima e l’ottimizzazione dei consumi. Il quadro oggi è reso ancora più complicato dalla diffusione dei system-on-chip multiprocessore, dotati di un numero di elementi di elaborazione sempre più alto. Sciuto ha citato l’esempio di un chip Cisco che integra 192 processori, sottolineando che la programmazione multicore è tuttora un problema in gran parte irrisolto.

Gli Idm diventano “fab-lite”

Per quanto riguarda invece i temi più strettamente legati alla produzione di chip, vale la pena rendere conto di un’interessante tavola rotonda dedicata alla graduale trasformazione dei “tradizionali” produttori di chip (Idm, Independent Device Manufacturer) in aziende dotate di strutture produttive “leggere” (l’espressione utilizzata è “fab-lite”, per analogia con “fabless”). Attualmente questa tendenza si rileva nel crescente ricorso ad alleanze tra più produttori diversi per la costruzione e gestione comune delle fabbriche. Jean-Pierre Geronimi di STMicroelectronics ha portato l’esempio delle partnership che la società di Agrate ha stretto con Nxp e Freescale, ma anche con Ibm. Barry Dennington di Nxp Semiconductors ha parlato delle alleanze con Stm, Tsmc e Imec. Entrambi i relatori ritengono che in futuro la differenziazione tra produttori concorrenti sarà legata ai progetti, non ai processi produttivi. Possedere una fabbrica non è più necessario per avere accesso immediato ai processi più avanzati, come ha sostenuto Ivo Bolsens di Xilinx. Pur essendo una società fabless, Xilinx ha adottato la geometria 65 nm soltanto un mese dopo Intel. Bolsens ha comunque sottolineato l’importanza delle regole Dfm (design for manufacturing), fondamentali per ottenere chip funzionanti a geometrie così piccole. Antun Domic di Synopsys ha osservato che la trasformazione da Idm a fab-lite non garantisce automaticamente una riduzione dei costi; Qualcomm, la più grande società fabless, investe in ricerca e sviluppo il 21% del proprio fatturato, contro il 15% di Intel.

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