Comprendere l’efficienza valutando il caso limite

Dovendo scegliere l’alimentatore switching più adatto allo scopo, l’efficienza è uno dei parametri che meritano la più alta considerazione. La pressante richiesta di apparecchiature più prestanti in piccole dimensioni, porta alla necessità di più potenza, con un impatto diretto sulle dimensioni dell’alimentatore: la conseguenza è che oggi un alimentatore deve fornire potenze sempre più alte in dimensioni sempre più piccole. Tutto ciò, assieme alla necessità di soddisfare le crescenti esigenze delle normative ambientali e di minimizzare o addirittura eliminare le ventole di raffreddamento, costringe i progettisti ad inventare alimentatori sempre più efficienti. Un alimentatore efficiente vuol dire meno potenza dissipata in calore, che è il primo fattore a incidere sulla affidabilità dei componenti elettronici. Pertanto l’efficienza ha un impatto determinante su affidabilità e durata del prodotto finale. Ma non solo: scegliere un alimentatore efficiente può anche significare che l’apparecchiatura potrà fare a meno di una ventola di raffreddamento, riducendo così anche il rumore udibile, cosa alquanto gradita in molte applicazioni. Quando si deve scegliere un certo alimentatore per una particolare apparecchiatura, bisogna calcolare il minimo valore di efficienza necessario affinché questa possa funzionare senza ventilatore garantendo una determinata aspettativa di vita. Quindi si può iniziare a sfogliare i vari data sheet alla ricerca di quell’alimentatore in grado di soddisfare i criteri di minima efficienza individuati. A questo punto è indispensabile tenere ben presente che i dati esposti nei siti web dei costruttori o nei data sheet rappresentano per lo più la migliore delle ipotesi. L’efficienza dichiarata sul materiale pubblicitario è vera solo quando l’alimentatore funziona in condizioni favorevoli, o addirittura ottimali. Ma le effettive condizioni in cui lo stesso alimentatore si troverà a funzionare potrebbero essere molto differenti. Ad esempio, uno stesso modello di apparecchiatura industriale o medicale può essere venduta in qualsiasi parte del mondo.
Anche se un alimentatore si fregia di “Ingresso universale” ciò non garantisce che la sua efficienza sia pari a quella dichiarata in etichetta per qualsiasi valore accettabile della tensione d’ingresso. L’efficienza manifestata alla tensione più alta (la rete europea a 230 Vac) sarà ben diversa da quella riscontrabile alla tensione d’ingresso più bassa (la rete giapponese a 100 Vac o quella a 115 Vac in Nord America). L’efficienza dell’alimentatore, quando lavora sotto le condizioni operative più gravose, può essere definita come “efficienza di caso pessimo”. Tale efficienza può essere calcolata spulciando a fondo nelle specifiche di prodotto, cosa essenziale per assicurare che si è scelto il prodotto adeguato. Si può scegliere un prodotto unicamente in base alla efficienza di etichetta, forse anche ad un livello attraente di prezzo, salvo poi scoprire che nel caso pessimo delle condizioni operative è necessario aggiungere una ventola di raffreddamento oppure usare un alimentatore di maggior potenza per garantire le prestazioni richieste. Una scelta sbagliata si tradurrà quindi in costi più alti, cosa che dimostra quanto sia di vitale importanza lavorare fin dall’inizio con valori di efficienza corrispondenti al caso pessimo.

Fattori che influenzano l’efficienza

L’efficienza è calcolata come la potenza d’uscita divisa per la potenza d’ingresso e, di solito, è espressa in percentuale. La differenza tra la potenza d’ingresso e quella di uscita è la potenza dissipata sotto forma di calore. La potenza d’ingresso è il prodotto tra tensione d’ingresso, corrente e fattore di potenza. Se la tensione d’ingresso (vale a dire la tensione di rete) è più bassa, per fornire la stessa potenza d’uscita la corrente deve necessariamente aumentare, col risultato di maggiori perdite nei componenti di potenza. Le perdite in induttanze e trasformatori valgono I2R, dove R è la resistenza del componente. A parità di efficienza, dimezzare la tensione d’ingresso vuol dire raddoppiare la corrente. In realtà la corrente d’ingresso è più del doppio, a causa della riduzione di efficienza dovuta all’aumento delle perdite di potenza, che risultano più che quadruplicate in alcuni componenti all’interno dell’alimentatore e più che raddoppiate in altri. Lo stesso si verifica per la potenza d’uscita, calcolata come prodotto della corrente per la tensione. La tensione d’uscita ottimale è la più alta che l’alimentatore può fornire; a tensioni d’uscita più basse, la corrente aumenta e alcune perdite aumentano proporzionalmente al quadrato della corrente. Come esempio, riportiamo il confronto tra l’efficienza dell’alimentatore XP Power CCB200 da 90 a 264 V, e quella di un analogo dispositivo Ac-Dc di una marca concorrente. Con le due diverse tensioni d’ingresso l’efficienza dell’XP CCB200 varia 1-2%, laddove l’efficienza dell’altro esemplare cade di almeno 5 punti percentuali a pieno carico, passando alle tensioni d’ingresso più basse. Tradotto in termini di potenza buttata via, il prodotto XP dissiperebbe da 2 a 4 W di potenza in più alla tensione d’ingresso più bassa, mentre l’alimentatore concorrente ne dissiperebbe circa 10W in più. L’efficienza di questo dispositivo è 92% ma, passando dalla tensione giapponese alla nordamericana, l’efficienza massima che può esprimere è 88,5% e solo sotto particolari condizioni di carico. Altro parametro da considerare è il reale carico operativo, sulla base di quanto richiesto dal prodotto finale. La significativa caduta in efficienza dell’alimentatore alla riduzione di carico è mostrata nella Fig. 1. La ragione di ciò è che alcuni circuiti dell’alimentatore, in particolare i circuiti di controllo, per poter funzionare in qualsiasi condizione richiedono potenza e questa potenza non cambia in proporzione alla variazione della potenza d’uscita. Considerando queste perdite come fisse, al cadere della potenza d’uscita il loro peso percentuale relativamente a quest’ultima diventa maggiore riducendo così l’efficienza totale. La prestazione sotto carichi variabili è un fattore importante nel determinare se un alimentatore soddisfa i requisiti delle normative accettate in tutto il mondo in termini di efficienza energetica. Possono essere imposti limiti sull’efficienza attiva media: per esempio, uno dei criteri dello standard 80-Plus per alimentatori da server è che l’alimentatore deve esibire una efficienza superiore all’80% nelle condizioni di 20%, 50% e 100% del suo carico nominale. È pertanto essenziale avere una approfondita conoscenza del comportamento di un alimentatore nelle più disparate situazioni di carico. Un altro fattore che determina il grado di efficienza di un alimentatore può essere la sua topologia. Le topologie più efficienti sono le risonanti, basate su tecniche per minimizzare le perdite controllando i tempi della commutazione di tensione e corrente, facendo in modo che questa avvenga nel punto di zero. Configurazioni base come convertitori flyback possono essere meno costose, ma a prezzo di un sostanziale degrado di efficienza. Prodotti più costosi possono impiegare altre tecniche per ridurre le perdite, come rettificazione sincrona e sovradimensionamento delle induttanze d’ingresso, per esempio, per diminuirne la resistenza diminuendo perciò il calore dissipato.

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