Un nuovo modo di fare impresa

Il manifatturiero italiano deve tornare a crescere e per farlo bisogna ripartire dalla fabbrica. Portare lavoro in Italia si può, a patto che le aziende che decidono di farlo non siano lasciate sole. È questo in sintesi il messaggio emerso dall’Assemblea Annuale di Anie Confindustria, che si è tenuta lo scorso luglio Milano. Il back reshoring, che consiste nel rientro in patria dei siti produttivi precedentemente delocalizzati all’estero, è stato al centro di uno studio realizzato dalla Federazione con il contributo di Luciano Fratocchi, professore di Ingegneria economico-gestionale all’Università de L’Aquila e portavoce del gruppo di ricerca italiano Uni-Club MoRe Back Reshoring. Dallo studio emerge che i settori Anie rappresentano quasi il 20% del totale del fenomeno italiano, piazzandosi in seconda posizione alle spalle solo di abbigliamento e calzature. Est Europa e Cina sono le aree geografiche da cui si ritorna di più, per un fenomeno che si origina nel 40% dei casi dalle piccole e medie imprese. Tra le motivazioni più rilevanti per il rientro, il minore controllo della qualità della produzione all’estero, la necessità di vicinanza ai centri italiani di R&S e i maggiori costi della logistica.

Senza la manifattura il Paese muore

“L’ultimo decennio, a causa di due violente recessioni estremamente ravvicinate, ha cambiato la storia dell’industria manifatturiera - ha commentato Claudio Andrea Gemme, Presidente di Anie –. Tuttavia la new economy basata solo sulla finanza e sui servizi è fallita: senza la manifattura il Paese muore. Il nostro studio ci dice che tornare a produrre in Italia non è utopistico. Qualcuno ha già iniziato a farlo, altri lo farebbero se si creassero le condizioni per poter lavorare: abbattimento della pressione fiscale e della burocrazia, detassazione degli utili reinvestiti in ricerca e innovazione, valorizzazione del know how tecnologico e della qualità del made in Italy, promozione degli asset strategici del Paese. Pur in uno scenario difficile, le imprese Anie non si sono rassegnate: dall’indagine presso i nostri soci è emerso che l’industria elettrotecnica ed elettronica continua a distinguersi nel panorama nazionale per una spiccata propensione al cambiamento, all’innovazione e all’approccio industry 4.0. La forte componente tecnologica delle aziende Anie è assolutamente pervasiva in tutti i settori industriali e dunque le soluzioni tecnologiche che sanno esprimere garantiscono, e sapranno garantire ancora di più in futuro, vantaggi competitivi per tutti.”

I risultati dell’indagine

Dall’indagine condotta presso 107 aziende associate emerge che le imprese Anie hanno intrapreso movimenti di multilocalizzazione prevalentemente verso la Cina e l’Est Europa. Le motivazioni principali? La vicinanza al mercato finale, il minore costo totale della produzione e quello della forza lavoro, nonché la presenza di regimi fiscali agevolati. Alla domanda “quali sono gli interventi di politica industriale che il Governo dovrebbe approntare per favorire il ritorno del manifatturiero in Italia”, il 30% delle aziende intervistate ritiene che la priorità sia la riduzione del cuneo fiscale, più di un quarto di esse la semplificazione della burocrazia e il 18% del campione la detassazione degli utili in ricerca & sviluppo. Tuttavia, nell’ambito dei cambiamenti delle dinamiche manifatturiere, stiamo assistendo a un fenomeno nuovo, noto come back reshoring, che consiste nel riportare in patria i siti produttivi precedentemente delocalizzati all’estero. Secondo gli studi realizzati dal professor Fratocchi e dal suo gruppo di ricerca, l’Italia è il secondo Paese nel mondo per rimpatri produttivi, alle spalle solo degli Stati Uniti e quindi primo in Europa.
Il comparto rappresentato da Anie, inoltre, a livello nazionale, vale circa il 20% dell’intero back reshoring, piazzandosi secondo alle spalle solo dell’abbigliamento e delle calzature. Secondo i risultati dell’indagine le ragioni considerate molto rilevanti dalle imprese Anie che hanno rilocalizzato i siti produttivi nel periodo 2009-2013 sono state per un terzo del campione il minore controllo qualità della produzione all’estero, seguito dalla necessità di vicinanza ai centri R&S italiani (25%) e dai costi della logistica (22,2%). Vale la pena soffermarsi anche sul perché queste aziende avessero deciso di lasciare l’Italia: avevano infatti delocalizzato le produzioni per il minor costo totale della produzione all’estero (molto rilevante per l’86% delle imprese rientrate in patria) e del minore costo del lavoro (75%).

L’importanza dell’innovazione

L’indagine ha confermato ancora una volta la loro profonda vocazione all’innovazione: il 60% del campione investe in R&S più del 2% del fatturato totale e una folta rappresentanza di imprese particolarmente virtuose, costituita dal 40%, investe addirittura più del 4% del fatturato. Ma sono proprio le aziende che hanno messo in atto politiche di back reshoring a dimostrarsi particolarmente aperte al cambiamento tecnologico, all’innovazione e ai nuovi modelli organizzativi. Per quanto riguarda l’avvenuta adozione di tecnologie legate all’Internet of Things, tra le imprese che sono rientrate abbiamo un picco del 60% contro il 50% della totalità delle imprese Anie, che vanno verso l’adozione di nuovi modelli organizzativi come la fabbrica 4.0. Inoltre, tra le aziende interessate dal fenomeno, il 90% ritiene che i nuovi standard organizzativi di impresa saranno una realtà entro un periodo che va da 1 a 3 anni. Sulla sensibilità nei confronti dell’innovazione, appare significativo notare come secondo le aziende che sono rientrate, i principali meccanismi di stimolo siano tutti rivolti al miglioramento del prodotto finale: per il 90% di esse è questo lo scopo principale che spinge ad innovare. Tra i principali ostacoli all’innovazione, invece, la mancanza di fonti di finanziamento esterne è quello primario a detta del 43% delle aziende in totale, con un picco del 75% tra le aziende che hanno sperimentato il back reshoring. Ma se la seconda ragione per il totale delle aziende Anie, con una quota del 40%, è il costo elevato dell’innovazione e la mancanza di risorse interne, questa percentuale scende se si guarda solo alla segmentazione delle aziende che sono rientrate.

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