L’editoriale di Marzo 2011

Se ne è parlato spesso nelle pagine di PCB Magazine ed è argomento costante di discussione in occasione di interviste, convegni e incontri nel nostro settore. Parlo naturalmente dell'annoso e – a quanto pare – irrisolvibile problema del ritardo dei pagamenti, argomento che condiziona pesantemente le industrie elettronica ed elettrotecnica nazionali, così come confermato da una recente indagine condotta da ANIE sull’argomento.
Il 2010, nonostante i dati positivi che l’anno post crisi ha fatto segnare, è stato caratterizzato da un aggravarsi della situazione; addirittura l’86% delle imprese nel settore elettrotecnico ed elettronico (in base a un campione tratto dai comparti telecomunicazioni, energia e trasporti) ha confermato il perpetuarsi di quel malvezzo. E non parlo di qualche giorno. Quarantacinque sono i giorni di ritardo extracontrattuale medio in cui ci si imbatte esigendo pagamenti da clienti privati, più di centocinquanta da clienti pubblici, soprattutto dalla Pubblica Amministrazione locale.
La dilatazione dei ritardi non è comunque un’abitudine solo italiana, anche se da noi raggiunge livelli cronici e intollerabili. In Europa situazioni di “difficoltà” sul rispetto dei tempi di pagamento s’incontrano in Spagna, Romania e Grecia, mentre altrettanto non si può dire per paesi come la Germania o la Gran Bretagna dove la cosa non sembra essere un problema. Tedeschi e britannici non transigono infatti quando si devono far rispettare i contratti e, in quei casi, le aziende italiane coinvolte – anche i gruppi più forti e affermati – si attengono scrupolosamente ai tempi pagamento. Quando invece hanno a che fare con la PA o con le aziende nazionali, l’atteggiamento è molto diverso.
Non c’è bisogno di fare giornalismo d’inchiesta per appurarlo: basta parlare con una qualsiasi azienda che operi con lo stesso cliente sui mercati nazionale e internazionale per smascherare l’inghippo.
Quella dei pagamenti “a babbo morto” (per usare un’espressione orribile, ma che calza perfettamente con la tragicità della situazione) è dunque una brutta abitudine, che sta creando problemi soprattutto a seguito di quello stato di depressione da cui stiamo tentando ancora di risollevarci: nel breve periodo infatti molte aziende – proprio per la dilatazione dei tempi extracontrattuali di cui ho parlato – si troveranno obbligate a ritardare anch’esse i pagamenti ai loro fornitori e a riferirsi con sempre maggiore frequenza agli istituti di credito. L’Anie parla del 60% delle aziende, un numero enorme che è destinato a salire.
Qualcuno parla di tentativi di controllare il problema direttamente dall’alto con leggi e decreti; altri si adeguano contribuendo (a volte in buona fede) a creare inviluppi caotici e alla lunga incontrollabili, difficili da gestire soprattutto in un mondo globalizzato come il nostro. E il tutto si ripercuote negativamente non solo sull’economia del paese, ma soprattutto sull’immagine già sbiadita che l’Italia ha nel mondo.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome